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Secondo disco per i Giobia, quartetto proveniente dai navigli milanesi, attivo già da parecchi anni nel panorama underground italiano. Ma la band in questione si differenzia nettamente dal 99% dell’indie/alternative rock che si suona e si consuma nel nostro paese, adottando uno stile coraggiosamente personale e al di fuori dai trend revivalisti del momento, quelli che impongono il ripescaggio degli anni Ottanta e dei suoni wave quale unica via percorribile.
Per fortuna i Giobia non credono a questo imperativo categorico e si rifanno a un altro momento storico della musica popolare; i Sixties, sia americani sia inglesi, e tutto ciò che ne consegue in fatto di musica e atmosfera. “Hard Stories” parla indifferentemente la lingua della Londra psichedelica e della San Francisco acida, anno di grazia il 1967 del ‘flower power’. Con un organo farfisa dalla timbrica caldissima, una sezione ritmica ben affiatata, una chitarra inacidita a puntino, una voce gentilmente psicotica e tocchi di colore offerti da sitar e bouzouki, la band crea nove pezzi di modernariato garage di altissimo livello, intriso di rimandi al surf rock strumentale e in grado di estendersi anche oltre, verso gli anni Settanta, ricollegandosi infine ad alcuni esperimenti vintage più vicini ai giorni nostri.
Difficile descrivere esaustivamente il loro sound. C’è il garage punk primigenio dei “Nuggets”, quello di Seeds, Blues Magoos, 13th Floor Elevators, Electric Prunes: non a caso l’unica cover presente nel disco è un brano di questi ultimi, “Are You Lovin’ Me More”, tratto dallo storico primo album della band americana; i momenti più propriamente garage, come “Old Jim”, “Jaws” e “Underground” sono squisiti omaggi a tutte le band sopracitate. C’è poi la componente inglese, rappresentata principalmente dai Pink Floyd e dai loro domini interstellari, che viene esaltata nei quasi sei minuti di “Electric Light”, preziosa pepita all’LSD sospesa fra sogno e incubo, uno dei momenti migliori del lavoro. Infine tutto questo viene unito dall’attitudine surf presente in molte canzoni, a cominciare dalla title – track, incredibile strumentale a metà strada fra Link Wray e i Man Or Astro Man? di “Popcorn Crabula”, altra gemma dell’opera. Nel complesso l’ascolto di “Hard Stories” è paragonabile all’esposizione a una fresca brezza primaverile profumata di canapa e incenso, e mostra come avrebbe potuto suonare un ipotetico ibrido fra Kaleidoscope e Count Five.
Il cd dura solo 30 minuti, sua unica vera pecca. La scrittura è talmente elevata e le note sgorgano così calde e avvolgenti che se ne vorrebbero almeno una decina in più. I Giobia sono certamente un gruppo di genere nonché spudorati revivalisti, ma in Italia un esperimento come il loro non trova paragoni. Rivelazione.
Stefano Masnaghetti