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“Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.”
Filippo Tommaso Marinetti, “Manifesto del Futurismo”, 1909.
Si presenta con questa citazione, ovviamente tradotta in inglese, il libretto della prima compilation per i Blues Explosion, che però riguarda solamente i primi dieci anni d’attività del complesso guidato dall’istrionico Jon Spencer (infatti, non è presente nulla di “Damage”, e meno male!). Sembrerebbe paradossale citare l’atto di nascita di un movimento che voleva sbarazzarsi, e in modo violento, di qualsiasi retaggio proveniente dal passato, se pensiamo a quanto il trio in questione debba alle radici del blues e del rock, sia in termini di stile sia per l’immaginario utilizzato. Eppure una logica c’è, anche se più che di futurismo sarebbe meglio indicare il modus operandi della Blues Explosion come ‘retrofuturismo’. Perché alla fine la loro esperienza, in grado di segnare un decennio e di dare la stura a molto lo – fi garage contemporaneo, è stata proprio questa: violentare un lessico vintage per trasporlo nella schizofrenia dei Nineties, decade segnata dallo sgretolarsi di tutte le certezze che il rock aveva costruito nei precedenti quarant’anni. Facendo scontrare theremin, organo hammond e altri strumenti d’antan con turntable e nuove diavolerie elettroniche, per un suono debitore tanto a Elvis, John Lee Hooker e Captain Beefheart quanto ai Cramps, al punk e alla new wave. Nient’altro che una versione più potabile dei Pussy Galore, forse, ma dal groove incredibile e dalla capacità di plasmare suoni ispidi e al vetriolo in contesti quasi ‘melodici’ che rasenta il virtuosismo.
Detto questo, “Dirty Shirt Rock’n’Roll: The First Ten Years” non è il solito best of. È un’operazione più intrigante e molto ben orchestrata, e per questo ne parliamo. Riesce a racchiudere in modo encomiabile lo spirito della band in sole 22 canzoni, tutte rimasterizzate, scelte oculatamente fra album ufficiali, compilation, singoli e collaborazioni varie, con la presenza di alcuni remix, fra i quali, ad esempio, una “Flavor” alterata da Beck Hansen. Si è forse sacrificato un po’ troppo il primo album, qui ricordato con un solo brano, “Feeling Of Love” (due se contiamo la versione ‘non ufficiale’ “Crypt Style”, dal quale è tratto “Water Main”), ma gli altri cavalli di battaglia ci son proprio tutti, dalla celebrativa “Blues X Man” alla perfetta stilizzazione funk – blues – garage di “Afro”, dal singolo ad effetto “Wail” (qui presente in versione video mix) alle oscenità di “History Of Sex”, senza dimenticare il blues’n’roll di “Chicken Dog”. Quello che però fa di “Dirty Shirt Rock’n’Roll” un disco appetibile anche per chi già conosce a menadito gran parte delle opere della band, è la presenza di pezzi meno noti e spesso dimenticati, che dimostrano una volta in più la poliedricità del trio, in grado di far quello che vuole con la tradizione musicale (afro)americana. Così, il caldo e torbido crooning di “Love Ain’t On The Run” mostra Spencer nel pieno dei suoi deliri Fifties/Sixties, fra Presley e Morrison, per una traccia di qualità stellare; la sezione archi di “Bellbottoms” potrebbe appartenere ai Temptations più psichedelici; il blues à la Canned Heat di “Shake’em On Down”, suonato assieme al grande R.L. Burnside, è quasi commovente; e la strumentale “Train #2”, traccia pescata da “Extra Width” e troppo spesso sottovalutata (pure dal sottoscritto), si segnala per un lavoro chitarristico che evoca certe dissonanze degli ultimi Black Flag, anche se qui l’atmosfera è più calda, suadente e bluesy.
Oggi la Jon Spencer Blues Explosion è smobilitata, e d’altra parte le sue ultime prove sono state largamente deludenti. Jon ha fondato gli Heavy Trash per esprimere ancor più compiutamente le sue smanie passatiste: per un paio d’album il gioco ha retto benissimo (il secondo è un quasi capolavoro), ma l’ultimo cd ha mostrato preoccupanti segni di cedimento e un calo verticale dell’ispirazione. Forse per Spencer il futuro, alla faccia di Marinetti, non sarà così febbrilmente esaltante, almeno a livello artistico; pare che il musicista abbia sparato le ultime cartucce (spero di sbagliarmi di grosso). Ma “Dirty Shirt Rock’n’Roll” è il miglior greatest hits che si potesse pubblicare, vivamente consigliato sia ai fan di lungo corso sia ai neofiti.
Stefano Masnaghetti