All’anagrafe fa Lorenzo Cilembrini, ma sicuramente Il Cile è uno dei nomi del momento del cantautorato emergente italiano, con la sua Cemento armato sta conquistando gli ascoltatori di musica leggera. La tua canzone sta diventando un piccolo tormentone, soprattutto il pezzo relativo al prato di viole. Ti aspettavi che piacesse così? “Credevo molto alla canzone e alle persone con cui ho lavorato, ma la reazione del pubblico è stato il regalo più grande, a livello emotivo.”
Tu vieni da una delle tante città che sono la spina dorsale del nostro paese, ricche di storia e tradizione, e quindi fonte di ispirazione. Tu stesso dici che nonostante la vita all’estero e in città grandi, Arezzo resta sempre il tuo centro…
“Ha contribuito perchè c’è una radice forte ed emotiva legata ai posti in cui ho vissuto. Ad Arezzo ho trascorso momenti importanti dell’adolescenza, nonostante a volte ci sia quasi scappato. Ci sono tornato per fare un resoconto del mio vissuto. Ricordo che questa è la stessa storia che ha segnato artisti più importanti di me, come ad esempio i Negrita…”
C’è una tua canzone che si chiama Siamo morti a 20 anni ed esprime un concetto molto profondo, la fine della spensieratezza dell’adolescenza. Concetto ancora più forte se pensiamo che i trentenni di oggi sono costretti a vivere una forzata adolescenza per mancanza di prospettive che li portino alla maturità…
“Appunto, mi riallaccio al tuo discorso perchè nasce da un diffuso senso di disorientamento. Scrivo canzoni di getto, anche se poi le perfeziono sotto tutti i punti di vista, però sentivo in quel momento di fermarmi a riflettere sulla mia generazione…mi sono sempre sentito legato alle persone che ho lasciato lontane da me, in altri paesi magari, che però ho seguito solo attraverso lettere a causa della distanza… mi sono reso conto di una condizione di precarietà costante anche in paesi lontani dall’Italia, sensazione diversa dalla gioia dell’adolescenza che accomuna bene o male tutti i ragazzi del mondo. Questa condizione la vedo come punto di partenza per trovare nuova identità, attraverso difficoltà, dubbi, confusione e anche dolore vissuto diversamente da paese a paese…”
Ora stai lavorando al disco. Quali elementi ti stanno influenzando?
“Diciamo che se posso trovare una linea che viene percorsa dall’inizio alla fine in questo lavoro che sto terminando è sicuramente il mio stato emotivo dei miei ultimi cinque anni. Trovo un’evidente dicotomia tra la mia situazione interiore che si alternava tra momenti irrequieti e di spensieratezza, anche di ironia paradossalmente, spesso si fa ironia su quello che ci preoccupa… ho traslato questa situazione nella realtà che mi circonda quando vedo tutti quei ragazzi che devono trovare spazio in questo mondo così incerto e complicato…”
Alessandro Tibaldeschi
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