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C’è da farsene una ragione. Sufjan ha chiuso con l’era da menestrello bucolico chitarra-banjo e offre qui una cesura con il passato, segnando un deciso cambio di sonorità lontanissimo dal capolavoro assoluto “Illinois”. Questo passaggio mostra ampiamente il fianco a molti fendenti.
La prima peculiarità del “nuovo corso” fa sfoggio di un uso cospicuo di elementi elettronici, per nulla puliti di certo, ma sporchi e spesso schizofrenici e molto glitch.
La seconda peculiarità è l’utilizzo degli arrangiamenti.
“The Age Of Adz” è lungo un’ora e mezza e si mostra carico, troppo sovraccarico di arrangiamenti (grande lavoro, pure troppo, appunto), teatrale e molto pomposo e magniloquente, con la voce che rimane soffocata da tutto il resto. Cosa ne viene fuori? Un disco che non riesce completamente a catturare l’attenzione per tutta la durata. A volte è abbastanza monotono o ripetitivo, ha molti cali di tensione, lontani dalla brillantezza a cui ci aveva abituato.
Senza dubbio affascinate il passo che ha compiuto il buon Sufjan, ma ha anche creato un disco molto caotico e confuso, e alla fine…senza magia. O forse il problema ultimo sta nel non riuscirsi ad innamorare completamente delle sue nuove canzoni?
Luca Freddi