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I Monster Magnet sono stati uno dei gruppi rock più importanti degli anni Novanta, decennio in cui hanno rappresentato l’altra ala dello stoner rock. Se è innegabile che Kyuss e ragazzacci vari del deserto californiano siano stati più rivoluzionari, è altrettanto vero che Dave Wyndorf e compagni abbiano comunque forgiato un suono unico e molto personale, recuperando scampoli di psichedelia e space rock di marca Seventies in un contesto di hard rock muscolare e dannatamente diretto, il quale si apriva spesso e improvvisamente a deliri di ogni sorta. Un lavoro di sintesi, quindi, che il loro capolavoro “Dopes To Infinity” (1995) illustrava mirabilmente, facendo convivere il rock adrenalinico di un singolo come “Negasonic Teenage Warhead” assieme ad allucinante perorazioni strumentali dello spessore di “Ego, the Living Planet”.
Oggi, però, la band americana è molto diversa da quella di un tempo; ma forse sarebbe meglio dire che Dave non è più lo stesso, dato che nel caso dei Nostri è lui il vero e proprio Mastermind del gruppo. Tutti sanno che il musicista ha passato tempi duri, sia artisticamente – lo scialbo “God Says No” (2001), una progressiva perdita di freschezza compositiva – sia soprattutto umanamente – l’overdose del 2006, a un passo dalla morte – e quindi i Monster Magnet del 2010 fanno i conti con tutto quanto questo travagliato vissuto.
Tuttavia la capacità di scrivere dell’ottimo rock duro e ruvido non l’hanno persa, anzi “Mastermind” è un disco molto buono, superiore all’interessante ma farraginoso “4-Way Diablo” (2007), sicuramente al livello di “Monolithic Baby” (2004). E come quest’ultimo, il nuovo album si caratterizza per l’approccio essenziale e classicamente rock; c’è meno psichedelia rispetto agli esordi, meno stoner. Non per questo le canzoni risultano piatte o poco interessanti, e il trittico iniziale sgombra qualsiasi dubbio in merito: “Hallucination Bomb” ruggisce cupa e rimbomba lenta, sorta di heavy metal al Roipnol; “Bored with Sorcery” incrocia Stooges e Hawkwind; “Dig That Hole” è un bell’esempio di power ballad all’acido lisergico. Interessanti anche “The Titan Who Cried Like a Baby”, semi mantra sospeso fra cielo e terra, la più classicamente stoner “100 Million Away”, il garage percussivo di “Perish In Flames” e la conclusiva “All Outta Nothin”, anthem che teletrasporta i Jefferson Airplane ai giorni nostri.
I difetti di “Mastermind” si possono riscontrare nella presenza di qualche filler di troppo e in un’eccessiva monoliticità di soluzioni, che priva l’opera di quelle sperimentazioni ampiamente adottate nell’epoca d’oro del complesso. Evidentemente a Dave non va più di rischiare, preferisce andare sul sicuro, sul già collaudato. I Monster Magnet non scriveranno più capolavori, né s’impegoleranno in sterminate jam di acid rock come quelle contenute in “Tab 25” (1991), ma anche la loro odierna versione, più scarna ed essenziale, non è affatto da buttare.
Stefano Masnaghetti