[Metal] Iron Maiden – A Matter Of Life And Death (2006)

Different World – These Colours Don’t Run – Brighter Than A Thousand  Suns – The Pilgrim – The Longest Day – Out Of The Shadows – The  Reincarnation Of Benjamin Breeg – For The Greater Good Of God – Lord Of  Light – The Legacy

Nuova fatica da studio per la band heavy per antonomasia. Gli Iron  Maiden a questo giro hanno deciso di fare le cose in un modo meno scontato e molto personale, ecco quindi composizioni medio-lunghe con cambi di tempo e atmosfere davvero coinvolgenti e talvolta epiche. Il lavoro è stato totalmente catturato dal vivo, come funziona nelle sale prova più sfigate quando si registra su poche piste. Certo che qualche piccola differenza c’è, tuttavia non ci sono state limate in studio e  il disco suona “live n loud” come quasi mai è capitato d’ascoltare negli  ultimi anni.

Difficile trovare punti deboli a questo platter, anche i ritornelloni ripetuti centinaia di volte e le classiche intro acustiche  ultra abusate (ok ci sono ancora ma…) hanno lasciato spazio a strutture più complesse e ragionate, costruite con il preciso obiettivo di portare l’ascoltatore dentro il pezzo dall’inizio alla fine, senza farlo annoiare e indurlo a  premere ‘skip’. Personalmente ritengo “Brighter Than A Thousand Suns”, “The Longest Day” e “For The Greater Good Of God” gli highlights  assoluti del disco. Strano (ma in realtà ovvio) che due di  queste tre siano state scritte dal trio delle meraviglie, almeno in  fase di songwriting, Harris-Dickinson-Smith (prestare attenzione  all’ultimo nome…). Inutile elogiare “Bruce  Bruce”, che pare  migliorare anno dopo anno, ottima la prestazione delle tre asce, bene  ovviamente “‘Arry” Harris mentre Nicko McBrain dimostra di aver  recuperato notevole fantasia dietro al suo imponente drumkit.

In  definitiva un disco che farà la gioia dei Maiden fans e che piacerà  molto agli appassionati di hard&heavy in generale. Il successo è  assicurato anche nel pubblico più mainstream oriented, benchè, è bene  sottolinearlo, questo “A Matter Of Life And Death”, per essere apprezzato fino in fondo, richiede ben più ascolti di uno qualsiasi dei recenti album post reunion degli Iron.

Il nuovo album degli Iron Maiden è brutto. Molto brutto. In pochi se ne accorgeranno, dato che per i fans sarà comunque manna dal cielo e all’80% dei restanti acquirenti basterà la copertina accattivante. Non che i sei inglesi manchino di impegno o abbiano disimparato a suonare…il guaio è che sono fin troppo convinti di quello che stanno facendo.

Il nuovo ‘Una Questione di Vita o di Morte’ continua con lo stile che la band ha reso il proprio marchio di fabbrica a partire dal disco della reunion (Brave New World, 2000): grande enfasi al lato più epico e solenne della band, lunghe composizioni piene di orchestrazioni, grandeur nei vocalizzi da opera di Bruce Dickinson, chitarre più orientate alla melodia che ai riff da musica pesante e così via.

Arrivati al terzo album del genere siamo però in caduta libera: tutto ciò che di buono può venire in mente pensando a questo benedetto lato epico della band (Phantom Of The Opera, Hallowed Be Thy Name, Powerslave e tante altre belle canzoni) appare nel 2006 infangato nella noia e nella mancanza di energia. Le canzoni sono troppo lunghe, la velocità rimane sempre media, le ben tre chitarre sono nulle nel pastone delle orchestrazioni, il modo di cantare di Bruce lo avvicina più ad un Pavarotti metal che all’esaltante Air Raid Siren dei tempi andati, gli assoli non sono nulla di che e sembrano messi solo per allungare il brodo, se la band accenna ad una cavalcata (come in Brighter Tha A Thousand Suns) il risultato è ridicolo, se provano a fare un riff diretto (come l’inizio di For The Greater Good Of God) viene fuori lo stesso riff che si sente da sei anni, quello che dovrebbe essere il pezzo più easy (l’opener Different World) è orribilmente anonimo.

Potrei andare avanti per ore. Quando arriva qualcosa di buono dura sempre troppo poco, di solito anticipato da melensi arpeggi e subito coperto dalle vocali tirati all’infinito da Bruce. Alla fine proprio l’inutile singolo (The Reincarnation Of Benjamin Breeg) è quello che basta e avanza per tutto l’album. Almeno dal vivo rimangono una garanzia…eppure sorbirsi questi nuovi polpettoni accanto ai vecchi classici sarà una dura prova anche per i fans più accaniti.

M.B.

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