Il Maniscalco Maldestro è uno dei gruppi maggiormente stimolanti del panorama rock italiano di questi anni. Il loro suono è difficilmente classificabile: per il disco precedente, “Panna, Polvere e Vertigine“, la band stessa definisce il proprio genere “Spaghetto Psaico-Roccherrolle“. Oggi, con il nuovo “Ogni Cosa Al Suo Posto“, i giochi si complicano ulteriormente; la follia schizoide del predecessore è ancora presente, ma emergono tratti maggiormente orientati al groove e ad un rock che cita gli anni Settanta così come i Novanta e il funk acido di questi, in una ricerca che sbocca persino nel cantautorato. Ecco cosa ci hanno detto i Nostri.
Cos’è successo in questi ultimi 3 anni?
L’estate 2010 è stata densa di concerti, in giro per l’Italia, dal sud al nord, toccando l’apice con 3 concerti in Germania, di cui uno in un bel festival internazionale con numerosi gruppi. C’erano diverse aspettative, si parlava addirittura di provare ad andare a vivere in Germania perché la risposta del pubblico era stata davvero forte e avevamo intravisto la possibilità di farcela… al rientro l’entusiasmo è andato scemando, ognuno di noi è rientrato nel turbine di cose da fare, e con la band ci siamo ritrovati a confrontarci con il solito panorama musicale italiano dove è davvero difficile andare avanti.Abbiamo provato a fare un promo di 4 brani, per capire se c’era qualche risposta da parte di etichette discografiche e agenzie di booking, perché eravamo sfiniti dal dover fare tutto da noi. La maggior parte delle realtà non si sono degnate nemmeno di una risposta, chi l’ha fatto ha balbettato un “mi piace però siamo pieni di uscite” oppure “siete difficilmente collocabili”… un po’ sconsolati, un po’ sdubbiati abbiamo deciso di dare un taglio al progetto, di ritirarci dalle scene e siamo stati fermi per un bel po’. Circa un anno fa abbiamo incontrato una persona che ci ha messo il tarlo nella testa, spingendoci a ripartire… Frencc però non è stato dei nostri così ci siamo mossi alla ricerca di un nuovo chitarrista, trovando Simone “Muto” Sandrucci ed infine un nuovo tastierista, Pietro “PJ” Spinelli. Da lì abbiamo rimesso in piedi la sala prove e ci siamo fiondati a ritirare su la vecchia scaletta e contemporaneamente ci siamo dedicati alla composizione dei nuovi brani. Il passo è stato poi breve per concretizzare il tutto in un nuovo album.
Il cambio di sound è stata un’esigenza artistica, un’esigenza commerciale, una digressione, un puro caso? Quanto hanno inciso i cambi di lineup nella genesi di Ogni Cosa Al Suo Posto?
Il cambio di suono è stato inaspettato anche per noi, ma era quello che volevamo; intanto abbiamo inserito due nuovi elementi, una chitarra che fa largo uso di slide e un piano rhodes, clavinet e synth… due elementi che dovevano trovare una nuova collocazione. Avevamo inoltre la necessità di metterci in gioco con una persona che, con la sua competenza, riuscisse ad avere l’orecchio neutro e pulito per dosare gli ingredienti maldestri… così ci siamo mossi per trovare un produttore artistico. Il caso ha voluto che nelle campagne volterrane fosse da poco nato un bello studio di registrazione (White Rabbit Hole), capitanato da Nicola Baronti (Phonarchia), con il quale è subito scattata una bella sinergia. Abbiamo così iniziato a lavorare con lui ai nuovi brani, facendo ben due sessioni di preproduzione. Quando pensavamo di avere le idee chiare su come saremmo andati a registrare il disco Nicola ha deciso di cambiare di nuovo tutto, usando dei campionamenti della preproduzione per creare dei groove su cui farci suonare. Abbiamo visto crescerci tra le mani l’album un po’ come un figlio… non sai bene come si svilupperà ma ti puoi rispecchiare in lui e rivendicare la tua paternità.
Quant’è cambiato l’approccio alla composizione del Maniscalco Maldestro in questi anni?
Sicuramente è cambiato, penso che sia un passaggio naturale, la crescita artistica di un individuo si deve rispecchiare per forza anche nella sua composizione. Se dieci anni fa andavo avanti a “Pane e Primus”, adesso a malapena riesco a portare in fondo tre canzoni. I gusti sono cambiati, ho bisogno di altri spunti, di trovare altre emozioni nella musica.
In copertina e nel booklet non c’è più traccia del Maniscalco, oggi c’è Antonio, in carne ed ossa. L’impressione è che il gruppo sia sempre di più una tua estensione, una sorta di progetto solista al quale fai contribuire alcuni amici. E’ così? Qual è l’apporto degli altri membri? Ti aiutano a migliorare pezzi già abbastanza completi o partecipano alla creazione di ogni brano fin dalle fondamenta?
Sicuramente ho un po’ sempre usato il maniscalco come una sorta di mio alter ego, dietro il quale era facile nascondersi e giocare, in un mondo, quello dei travestimenti, che mi affascina sin da quando sono bambino. Cambiare voleva dire anche palesarsi e mettersi in luce in maniera spontanea e naturale. Come per la produzione artistica musicale ho sentito la necessità di essere aiutato anche sul lato della comunicazione. Ho la fortuna di condividere una bella amicizia con un grande artista, Alessio Marolda, che, intelligentemente e superbamente ha saputo interpretare il nostro lavoro musicale e trasporlo in arte grafica. La decisione di mettermi in copertina è stata sua, come quello di dare una connotazione domestica, riallacciandosi ai nuovi testi. C’è però da sfatare il fatto che il maniscalco maldestro sia una mia propaggine. Siamo un gruppo molto affiatato, ognuno di noi ha un ruolo portante ben definito e sviluppato, sia musicale ma anche nella composizione.
La scomparsa del Maniscalco non è l’unico elemento di rottura col passato, ho notato anche che l’approccio ai testi si è fatto diverso. Cosa c’è dietro?
Il 2011 è stato un anno di transizione, ho passato molto del mio tempo in casa, ho frequentato veramente poco la scena musicale, avevo bisogno di un vero “letargo musicale”. I testi sono venuti di conseguenza, ed ho cercato di distaccarmi dall’autoreferenzialità e cripticità che mi aveva sempre dominato. E’ stato bello avere anche due collaborazioni alle liriche, Riccardo Goretti e Riccardo Stefani, perché mi sono confrontato da vicino con due modi di scrivere diversi dal mio.
… e visto che in alcuni brani parli della crisi… Questa crisi è una tragedia o un’opportunità?
Sinceramente, e forse da utopista, spero in un bel rimescolone; ci sono troppe cose che non vanno del nostro sistema, della nostra Italia, il mondo musicale è anche uno di questi, fatto di piccoli pesci e piccole cricche che dettano legge e hanno il monopolio. E l’underground purtroppo non è da meno.
Come stanno reagendo i vostri fan a Ogni Cosa Al Suo Posto? E, secondo te, com’è un fan del maniscalco (o come dovrebbe essere)?
Le impressioni che ho ricevuto sono divise… c’è chi è entusiasta della nuova svolta mentre c’è anche chi non ha assolutamente digerito il cambiamento. Credo che questo disco, ancora più dei passati, abbia bisogno di essere ascoltato più volte per essere assimilato. Tra le caratteristiche che un fan del maniscalco deve assolutamente avere? In caso di sesso maschile, è avere una sorella “bona”!
Un problema di molti artisti è quello di prendersi spesso troppo sul serio anche quando fanno i guitti. Voi, nonostante si possano intuire sacrificio, meticolosità, dedizione e attenzione per i dettagli, sembrate sempre dei sinceri buontemponi. Quanto pensi sia importante mantenere un approccio “leggero”?
C’è chi riesce a fare L’Artista e darsi un’aria da Artista in maniera credibile. Io crollerei dopo un minuto, è più forte di me… forse in certi casi è stato anche un lato debole, poiché spesso conta come lo vendi il fumo più di come lo produci…
Raccontaci qualche cosa riguardo ai vari ospiti del disco. Come sei entrato in contatto con loro? Come hanno reagito alla richiesta? C’è qualche aneddoto spiritoso che ti va di condividere?
Alcuni sono amici di vecchia data, che spesso hanno preso parte ai nostri album in passato, come Marco Ciampini. Gianluca Bartolo è stato invece una piacevole sorpresa averlo, visto che con Il Pan del Diavolo stavano registrando il loro nuovo album al White Rabbit Hole Studio. Finaz infine è stato il mio insegnante di chitarra… vedere suonare lui in una dimostrazione alle scuole medie fu uno shock: non avevo mai sentito fare quelle cose ad un chitarrista ad una distanza di due metri. Da lì mi si accese un pallino, ed iniziai subito a fantasticare sul formare una band…
E come vanno le cose per gli altri progetti di Borkkia?
Borrkia è un animale da palcoscenico, l’anno in cui siamo stati fermi con il maniscalco è stato per lui fonte di sfogo, ha ripreso in mano la chitarra elettrica e si è dedicato al suo amore di sempre, il rock ‘n’ roll degli anni ’50. Ha così messo in piedi una Big Band che porta il suo nome, con cui ha anche registrato un album stampato in cd e vinile!!!
Stefano Di Noi