Dieci anni. Sono passati esattamente dieci anni dall’ultimo full length di Shamaatae e dei suoi Arckanum, ora più che mai una one man band basata unicamente sulla personalità del folle Scandinavo, il quale informa interamente questo “Antikosmos”, sorta di concept album, sulla religione anti – cosmica Svedese e sul suo lavoro sulle rune buie (parole sue).
Riferimenti ideologico – religiosi a parte, il nuovo lavoro si caratterizza musicalmente per una ripresa del vecchio stile, con qualche variazione sul tema. A convincere maggiormente è la prima parte del disco, quella più debitrice nei confronti dei vecchi capolavori degli Arckanum: “Svarti”, “Dauðmellin” e “Røkulfargnýr” appartengono pienamente al tipico songwriting di Shamaatae, frutto di una feconda fusione tra gli approcci Svedese e Norvegese al black metal; dal primo viene mutuata la rapidità d’esecuzione e la linearità dei riff, dal secondo il minimalismo dei suoni, il mood oscuro e lo spirito panico. D’altra parte è sempre stato questo il carattere distintivo del progetto, un sincretismo stilistico in grado di sfuggire ad ogni facile catalogazione in una determinata “scuola”, e di conquistare il ristretto pubblico degli appassionati di metallo nero.
Purtroppo questo ritorno non è esente da pecche: a onor del vero ce ne sono un po’ troppe perché si possa considerare “Antikosmos” un album convincente dall’inizio alla fine. Prima di tutto, 37 minuti sono veramente pochi dopo un decennio di quasi totale silenzio: penso di non essere stato il solo ad essermi augurato un’opera maggiormente corposa. In secondo luogo, e questa è la nota più dolente, la seconda parte del disco è nettamente inferiore rispetto alla prima: ci sono troppi mid e slow tempo che potrebbero ricordare i Darkthrone di “A Blaze In The Northern Sky”, peccato si senta che certe soluzioni stilistiche non sono nelle corde di Shamaatae, tanto che canzoni quali “Nákjeptir” e la conclusiva “Formála” stentano a decollare e ad imprimersi nella memoria. Ancora meno riusciti risultano gl’inserti ambient – noise, segnatamente la centrale “Blóta Loka”, sorta di sperimentazione sulla scia di Lustmord e MZ412, che però non sortisce altro effetto se non quello di annoiare a morte l’ascoltatore (come ho sempre asserito, non ci s’improvvisa musicisti “industriali”). Infine, la partecipazione dell’ex Aborym Set Teitan non risulta del tutto convincente.
Non vorrei essere frainteso: nonostante i succitati punti deboli, il nuovo Arckanum conserva buoni spunti e quei tre – quattro pezzi degni del nome che porta. Ma da un complesso storico, in grado di scrivere pagine indimenticabili nel proprio genere, è naturale aspettarsi di più. Solo per fan, chi non ha ancora avuto la fortuna di conoscerli è meglio che inizi con il micidiale trittico “Fran Marder / Kostogher / Kampen”.
Stefano Masnaghetti