http://www.amonamarth.com
http://www.metalblade.de
Gli Amon Amarth sono un gruppo intelligente. Mi rendo conto che questo apprezzamento non è mai stato rivolto loro, complice anche l’immagine di rudi vichinghi, ma se lo meritano ampiamente. La loro intuizione per emergere in un panorama affollato come quello del death metal, è stata tanto semplice quanto perfetta: inserire spunti epic metal all’interno del classico sound Scandinavo di band quali Entombed, Dismember, primi Hypocrisy, ecc.
Nel corso della loro carriera hanno saputo sviluppare quest’idea primigenia in modo ammirevole: non sono mancate le cadute di tono (in particolare, gli album “The Crusher” e “Fate Of Norns”, più che dispensabili), ma tenendo fede all’assunto di base e all’immaginario mutuato dalla mitologia nordica, il quintetto Svedese è riuscito nell’intento di costruire uno stile originale e perfettamente distinguibile in mezzo a decine di complessi tutti uguali. Via via le loro composizioni si sono fatte sempre più melodiche ed anthemiche, in grado di dare il meglio in sede live: la loro notorietà si è accresciuta esponenzialmente, e oggi gli Amon Amarth possono ben dirsi il gruppo di punta della Metal Blade, nonché una delle maggiori compagini di death metal a livello europeo.
“Twilight Of The Thunder God”, il loro settimo album, prosegue nel solco della tradizione, sviluppando ulteriormente la direzione musicale già intrapresa con il precedente “With Oden On Our Side”: a colpire è soprattutto la varietà dei dieci brani che lo compongono. Una giusta alternanza di tempi rapidi e lenti permette al disco di decollare e di evitare pericolosi cali di tensione; così, a fianco di episodi rocciosi e cadenzati quali “Guardians Of Asgaard” e “Varyags Of Miklagaard”, si possono gustare anche scorribande veloci e furenti del calibro di “Where Is Your God” e della title – track, memori del bellissimo full length d’esordio, “Once Sent From The Golden Hall”. “Free Will Sacrifice” e “Live For The Kill”, quest’ultima con la partecipazione degli Apocalyptica agli archi, dimostrano che si può comporre death melodico senza per forza scimmiottare In Flames, Dark Tranquillity e Children Of Bodom. Senza passare in rassegna ogni singola canzone, è da segnalare la pressoché totale assenza di filler: forse l’unica a mostrare la corda, a lungo andare, è la conclusiva “Embrace Of The Endless Ocean”, ma si tratta di un episodio isolato, che non inficia la tenuta complessiva dell’album.
Ci troviamo di fronte ad un ensemble ormai maturo e perfettamente affiatato in ogni suo singolo elemento: il growl di Johan Hegg non è mai stato così espressivo e duttile, mentre la sezione ritmica evita ogni inutile orpello, sempre tesa a supportare il lavoro delle due chitarre nelle loro evoluzioni tra l’epico e il brutale. Forse “Twilight Of The Thunder God” non è il loro miglior disco, anche se si avvicina parecchio ad esserlo: sicuramente è quello più evoluto e sfaccettato, in grado di allargare ulteriormente il loro seguito. Io, semplicemente, mi sento di consigliarlo a chiunque apprezzi il death metal, declinato in ogni sua forma.
Stefano Masnaghetti