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Etichetta discografica
Gli Arhont sono un giovane quartetto proveniente dalla Macedonia: non a caso questo loro debutto esce per i tipi della Battlegod Productions, ovvero l’etichetta di Gorgoroth dei Baltak, storico gruppo black metal macedone di base in Australia.
Al contrario dei Baltak, però, gli Arhont fanno death: e devo ammettere che lo suonano parecchio bene. Soprattutto perché riescono a differenziare i singoli brani che compongono l’album, riuscendo a non annoiare e a tener sempre desto l’interesse. Partendo dai Morbid Angel (l’influenza dei floridiani è presente sia a livello strumentale sia a livello vocale), i musicisti in questione sono in grado di costruire canzoni piuttosto eterogenee, grazie anche a una notevole perizia esecutiva. Infatti, oltre ad Azagthoth e compagni, gli Arhont dimostrano di aver mutuato profonde suggestioni anche dai Nile (“Of Dreams…” e “Vodocha” ), dai Suffocation (“The Gate”, growl catacombale e uso della batteria che ricorda quanto fatto dagli americani su “Pierced From Within”), e in generale da gran parte del brutal odierno. Interessanti pure alcuni sprazzi atmosferici, che risentono anch’essi dell’influenza della band di Karl Sanders, come dimostra ampiamente “Serpent’s Knowledge”, ricca di cambi di tempo e d’inserti folk.
A convincere sono soprattutto le parti più intricate e complesse: basso e batteria forniscono un ottimo tandem ritmico, sul quale si staglia la solista, intenta a forgiare riff ora veloci e ficcanti, ora lenti e claustrofobici. A risultare molto meno azzeccato è l’ultimo pezzo, “From Embryodirge To Funeral Scenes”, una specie di esperimento industrial – ambient che però viene realizzato con scarsa conoscenza dei mezzi e troppa amatorialità; ma, in ogni caso, non è sufficiente ad inficiare la bontà delle restanti composizioni, le quali dimostrano la bravura di un complesso che riesce a differenziarsi dalla massa. Probabilmente con una produzione di maggior livello gli Arhont sarebbero in grado di dare ancora di più, ma purtroppo per adesso si devono accontentare di suoni non all’altezza della loro musica (in particolare per quanto riguarda le pelli, mortificate dal classico effetto “cartonato”, tipico dei dischi realizzati in economia). In ogni caso, si tratta di una gran bella sorpresa. Ottimo gruppo.
Stefano Masnaghetti