Why Dost Thou Hide Thyslef In Clouds? – Cannon – Cymatics – Masks The Ætmospheres
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Ne ha fatta di strada il duo formato da Greg Anderson e Stephen O’Malley, se pensiamo che ad inizio carriera i Sunn 0))) altro non erano che una sorta di tribute – band intesa a celebrare le geniali intuizioni degli Earth. Non sono mancate le cadute di stile ma, uscita dopo uscita, il progetto dei due chitarristi ha saputo svincolarsi sempre più dall’assunto di base, riuscendo ad esplorare dimensioni sonore plumbee e, spesso, realmente terrorizzanti, pur continuando a muoversi in ambito drone – doom. Gli Earth rimangono irraggiungibili, però nei loro momenti migliori i Sunn sono stati in grado d’inabissarsi in regni di follia e orrore che raramente la storia della musica aveva lambito.
Questo live album è stato registrato nella cattedrale di Bergen, altro segno della popolarità che il gruppo è riuscito a conquistare. Un’occasione piuttosto particolare: infatti, a collaborare all’evento sono stati chiamati Attila Csihar per le parti vocali (non credo che il personaggio in questione abbia bisogno di presentazioni), il norvegese Lasse Marhaug (poliedrico musicista che nella sua carriera è passato dal noise al jazz informale) all’interpolazione live – elettronica, ed infine Steve Moore (sì, proprio quello che ha collaborato nell’ultimo capolavoro targato Earth, “The Bees Made Honey In The Lion’s Skull”) ad occuparsi dell’organo della cattedrale.
Grazie anche all’apporto di questi artisti, “Dømkirke” risulta un’opera interessante, formata da quattro momenti distinti, simili nello spirito ma molto diversi sotto l’aspetto esecutivo e strumentale. Appena terminato l’applauso iniziale, “Why Dost Thou Hide Thyslef In Clouds?” prende forma da un accordo liquescente dell’organo protratto all’infinito: vengono in mente i continuum di Klaus Schulze, quelli che hanno reso immortale il suo “Irrlicht”. La differenza risiede tutta nella prospettiva attraverso la quale viene concepita l’esplorazione fonica: se il compositore tedesco narrava lo spazio siderale e da lì osservava la terra, i Sunn fanno sgorgare la loro musica proprio dalle viscere di quest’ultima; tant’è vero che, circa a metà della composizione, ecco entrare in scena la voce mefitica di Attila, che intona una sorta di litania blasfema, un canto gregoriano stravolto, quasi che a salmodiarlo ci sia un monaco folle e indemoniato. Per tutto il brano sono assenti le chitarre e qualsiasi altra fonte sonora, il dialogo è interamente giocato tra le canne dell’organo e i vocalizzi di Attila. Per gustare il rantolo delle sei corde bisogna aspettare il pezzo successivo, “Cannon”, classica costruzione drone resa ancor più inquietante dal trombone di Moore, che pare riecheggiare quello utilizzato dai Darkthrone in “Snø Og Granskog”, lugubre conclusione dello storico ”Panzerfaust”. I due episodi rimanenti, “Cymatics” e “Masks The Ætmospheres”, vedono protagonista lo scontro tra i feedback prodotti dalle asce di Anderson e O’Malley e le distorsioni elettro – noise create da Marhaug, mentre Attila continua a contorcere le sue corde vocali: pur non essendo all’altezza dei primi splendidi pezzi, rappresentano comunque un interessante esperimento sonoro, simile a quanto fatto dagli stessi Sunn in “Flight Of The Behemoth”, complice quella volta Merzbow, il maestro indiscusso del japanoise.
“Dømkirke” non sarà il loro apice (per quello bisogna rivolgersi al delirio di “White 1” e all’incubo di “Black 1”), ma rimane un’emissione di tutto rispetto, degna di attenzione.
Stefano Masnaghetti