Die Sehnsucht In Mir – Mandira Nabula – A.u.S. – Feuer – A Prayer For Your Heart – I Lost My Star In Krasnodar – Die Taube – Call Me With The Voice Of Love – Der Tote Winkel – Koma
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Ho sempre nutrito grande stima verso i Lacrimosa e i loro intenti artistici. Partiti con la darkwave dura e pura di “Angst”, album dopo album hanno saputo progredire in modo stupefacente e costruire un suono che, a tutt’oggi, è unico nell’ambito del gothic metal. Merito di Tilo Wolff, uno dei pochi musicisti in campo rock a conoscere in profondità la musica classica, e uno dei pochissimi a saperla fondere con le chitarre elettriche senza quasi mai scadere in forzature o in composizioni grottesche e pacchiane. Merito anche dell’inserimento, a partire dal fondamentale “Inferno”, di Anne Nurmi quale anima femminile dell’ormai inscindibile duo.
“Sehnsucht”, decimo album in studio, prosegue e migliora il discorso intrapreso quattro anni orsono con “Lichtgestalt”, probabilmente uno dei lavori peggiori dei Lacrimosa. Nel nuovo capitolo, infatti, il tentativo di ridimensionare la sovrabbondanza sinfonica di “Echos” – apice del loro sinfonismo neoromantico – e di scrivere brani più snelli e bilanciati nelle loro varie componenti, si rivela più felice e meglio condotto. Vengono recuperate certe suggestioni da “Stille”, come in “Der Tote Winkel” (il duetto Anne – Tilo), e in generale la tensione fra le orchestrazioni magniloquenti e gli scatti metallici tiene in quasi tutti i dieci episodi del disco (eccezion fatta per la conclusiva “Koma”, legnosa nell’arrangiamento e banale nella melodia). Dopo l’ascolto, rimangono impresse nella memoria le atmosfere monumentali di “Die Sehnsucht In Mir”, le chitarre sferzanti e la voce esacerbata di Tilo in “Miranda Nabula”, le alternanze tra pieni e vuoti orchestrali dell’oscura “A.u.S.”, i chiaroscuri della sofferta “Die Taube”, le bordate rock della composita “Feuer”.
Buon disco e ritorno dell’ispirazione per il duo finnico – tedesco: questo è ciò che rappresenta “Sehnsucht”. Tuttavia rappresenta anche la definitiva stasi del loro suono e del loro modo d’intendere la musica. Non solo non compare nessun elemento inedito, che non sia stato già inglobato e metabolizzato nei nove album precedenti, ma è anche arduo pensare che nei dischi futuri i Lacrimosa abbiano la voglia e l’ardire di ripensare e modificare, almeno parzialmente, il loro consolidato stile. Stile che, d’altra parte, è stato plasmato in quasi vent’anni di carriera, che ancora nessuno è stato in grado di copiare o, quantomeno, di avvicinarvisi, e che sa ancora trasmettere emozioni importanti. Molte band si trovano in crisi d’idee già al terzo full – length, loro riescono a comporre musica pregevole dopo tutti questi anni. Superiori.
Stefano Masnaghetti