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We Are The Ocean sono un quintetto inglese di recentissima formazione (2007). Hanno già fatto molta gavetta, suonando in centinaia di date, compresi alcuni festival di una certa importanza; oltre a ciò hanno pubblicato un paio di EP, prima di arrivare con questo “Cutting Our Teeth” al debut album vero e proprio. Il disco è uscito da pochissimo, ma già se ne raccontano meraviglie, e parecchia stampa si è subito spesa nell’indicarli quale band più ‘calda’ del periodo: ossia delle ultime due settimane, tenendo conto delle frenetiche e demenziali prospettive temporali alle quali l’informazione, non solo musicale, ci sta abituando.
Ma si tratta davvero di una creazione così speciale, così eccelsa? In parte sì, perché i ragazzi se la cavano davvero bene con gli strumenti, e quando viaggiano a pieni giri fanno male, e lo sanno fare in modo intelligente. In poco più di mezz’ora allestiscono una salva di dieci canzoni che, nei loro passaggi migliori, ricordano quello che il post hardcore fu fino a qualche anno fa: un tentativo esaltante e stimolante di portare hardcore e metal verso un livello di ferocia, fisica e psicologica, mai sentito prima. E, in effetti, nei momenti più inviperiti di brani come “Our Days Are Numbered” o “These Days, I Have Nothing” l’eco di band quali Refused, Converge, Poison The Well, Breach e Dillinger Escape Plan (cito le più note, e le prime che mi son venute in mente) è chiaramente percepibile.
Però molti degli sforzi compiuti dai cinque vengono da essi stessi vanificati. E dalla moda emocore che è ormai dilagata in ogni dove. Quindi, a fianco dell’ottimo scream di Dan Brown, molti sono i frangenti nei quali a farla da padrona è la voce chiara e melodrammatica di Liam Cromby, peraltro buon chitarrista ritmico. E, a fianco delle efficaci detonazioni foniche delle composizioni più riuscite, c’è sempre il ritornello ultra melodico che stempera l’assalto sonoro e, si dice, dovrebbe mostrare l’animo ‘romantico’ e intimista dei Nostri. In realtà il cantato pulito e gli stacchi in odore di power pop servono solo a fiaccare e ridurre a brandelli un discorso compositivo che non ha nessun bisogno di utilizzare simili melense scappatoie per svelare il volto più sensibile dei suoi creatori, già più che presente nelle parti convulse e aggressive della loro musica.
Peccato questo continuo rincorrere le mode che, spesso, finisce per rovinare band che avrebbero molto di più da dire. Questo è uno dei casi più eclatanti, perché è chiaro quanto i We Are The Ocean siano molto più abili e naturalmente portati all’intransigenza metallica piuttosto che alla melodia tout court (in questo senso le sovrapposizioni delle due voci nella conclusiva “This Is Called My Home” sono orribili, per non parlare degli stacchi pseudo acustici). “Cutting Our Teeth” poteva essere un’opera molto più riuscita; mai un capolavoro, ma sicuramente qualcosa di significativo. Invece è un mezzo buco nell’acqua, troppo simile a molti altri lavori dozzinali.
Stefano Masnaghetti