http://www.myspace.com/yellowswans
http://typerecords.com/
In realtà, gli Yellow Swans sono già morti da parecchio tempo. Esattamente dall’aprile 2008, quando Pete Swanson annunciò la fine della collaborazione con Gabriel Mindel Saloman, e il duo di Portland salutò i propri fan in un ultimo concerto, a Chicago. A conclusione di una carriera tanto significativa quanto semisconosciuta, fatta di uscite a getto continuo e logorrea compositiva, vizio comune a molte esperienze di confine come la loro. Nonostante questo, nell’ammasso incoerente delle loro emissioni discografiche, spesso pubblicate sotto pseudonimo, c’è stato del genio, e un’opera maiuscola come “Psychic Secession” testimonia di una ricerca sonora non comune.
“Going Places” funge quindi da sigillo funebre, è un album postumo che intende chiudere al meglio un’esperienza vissuta ricercando le possibili contiguità di mondi sempre in bilico fra attrazione e repulsione: il noise propriamente detto, l’ambient più scuro, il drone estasiato dalla psichedelia, la libera improvvisazione. Il risultato finale è di quelli che si faranno ricordare a lungo.
In quest’ultima fatica da studio gli Yellow Swans condensano molte delle loro migliori intuizioni, fondendo il rumore delle macchine con l’anelito verso il cielo e un suono che vuol essere, e spesso si fa, astratto e distante, persino ‘metafisico’. In quasi un decennio di carriera quello che li ha sempre sostenuti è stata l’intuizione di poter operare una sintesi fra l’alienazione industriale, vessillo di nomi quali Throbbing Gristle e Einsturzende Neubauten, e gli slanci estatici, condotti fino ai bordi della mente, che furono il cardine estetico della musica psicocosmica dei vari Tangerine Dream, Klaus Schulze e compagnia teutonica. Senza dimenticare il culto del buio di Lustmord e alcune trovate di Eno. Per restare ai nostri giorni, “Going Places” assomiglia molto a un incontro fra Tim Hecker, Vibracathedral Orchestra, Natural Snow Buildings (ma a questi togliete le parti folk e il richiamo alla terra), Raglani e l’esercito dei mestatori noise di professione, con Merzbow e Wolf Eyes in testa. Fra rumore bianco, stasi ambient e slanci psichedelici il duo è in grado di regalarci almeno due capolavori: il caos ben organizzato della sfrigolante “Opt Out”, che cresce lentamente in un ribollire lavico di distorsioni e feedback, e la calma apparente di “Limited Space”, che cela la sua furia in un flebile tintinnio, prima di montare a mo di marea e infine esplodere nell’immane strillo finale.
A corollario del piatto forte, la band aggiunge un bonus disc, “Being There”, perfetto prolungamento di “Going Places”: altre quattro ottime composizioni, su tutte la nevrastenica “Inhabitants”, che fan sorgere più di un rammarico, se pensiamo che stiamo parlando di materiale postumo, e che il gruppo che l’ha ideato non esiste più. Tuttavia è anche difficile uscir di scena con la stessa classe che hanno dimostrato Pete e Gabriel, e per questo vanno comunque ringraziati.
Stefano Masnaghetti