http://www.myspace.com/twilightusbm
http://www.southernlord.com/
Se oggi il black metal è un sottogenere ancora vitale e propositivo, in grado di catalizzare l’attenzione di gran parte degli addetti ai lavori, e non solo, è innegabile che molto del merito lo si debba alla sua corrente statunitense, che nel decennio appena trascorso è stata in grado di evolversi in modo imprevedibile, riuscendo a contaminarsi con scenari musicali che parevano assolutamente inconciliabili con le basi di partenza di questo stile. Malefic (Xasthur) è stato fra i primi a far breccia nelle trincee del post metal/post hardcore e della musica ‘sperimentale’, collaborando a “Black 1” dei guru Sunn o))); da lì in poi si è acceso l’interesse di etichette come Hydra Head e, appunto, Southern Lord, che fino a poco tempo prima sembravano interessate a tutt’altro, e la marea non si è più fermata. Non è un caso che uno dei gruppi di punta del black americano, i Wolves In The Throne Room, esca proprio sotto quest’ultima label (ma si potrebbe pure citare l’esempio di Xasthur stesso, alcuni dischi del quale sono stati pubblicati dalla Hydra Head di Aaron Turner).
Il secondo disco dei Twilight nasce proprio grazie a questo strano crogiolo sonico. Al tempo del suo debutto, avvenuto nel 2005, la band era nient’altro che un supergruppo black metal made in USA, potendo vantare nelle sue fila membri di Leviathan (Wrest), Judas Iscariot (N. Imperial), Nachtmystium (Blake Judd) e Draugar (Hildolf), oltre all’onnipresente Malefic. Oggi questi ultimi due se ne sono andati, e il loro posto è stato preso da Aaron Turner (Isis e qualche miliardo di altri progetti), Sanford Parker (Minsk) e Stavros Giannopolous (Atlas Moth). Insomma, sin dai loro componenti i Twilight sembrano rappresentare al meglio quella strana koinè stilistica di cui si parlava in apertura.
“Monument To Time End” è, in un certo senso, un disco prevedibile. Guardando ai musicisti coinvolti in esso non ti stupisci che suoni così, ossia come ideale punto di congiunzione fra le varie band madri, sospeso fra classici passaggi black, spunti postcore, digressioni psichedeliche e ampiezze tipiche di certo doom estatico. Sono otto brani piuttosto lunghi, tutti compresi tra i cinque e i dieci minuti, che oscillano fra liquidità à la Isis (cfr. la parte centrale di “The Cryptic Ascension”), panismo in chiave Wolves In The Throne Room (sparso un po’ in tutte le composizioni), morbosità vicine a quelle dei Leviathan, ma imbastardite dall’elettronica (Decaying Observer), allucinazioni acide degne degli ultimi Nachtmystium (8.000 Years) e vortici di synth sulla linea Neurosis/Minsk (l’inizio di “Fall Behind Eternity”, ad esempio). A segnalare il legame con i padri norvegesi ci pensano i ritmi furiosi e le chitarre in tremolo della classicissima “Convulsions In Wells Of Fever”, mentre il lato più contaminato e futuribile è rappresentato dalle suggestioni spaziali di “Red Fields”. Chiudono l’album “The Catastrophe Exhibition”, brano affine a certo avantgarde norvegese (Ved Buens Ende, Fleurety), e “Negative Signal Omega”, percussivo suggello finale, che si rivela essere l’episodio meno convincente dell’opera.
“Monument To Time End” non è certo un capolavoro. Sin troppo prolisso, cerca di mediare fra strutture preesistenti che si rivelano tutte, senza bisogno di analisi minuziose; in questo senso il suo essere ibrido è riuscito fino a un certo punto. È comunque un ottimo disco, che senza raggiungere vette elevatissime conferma la bravura dei suoi autori, abili nel sovrapporre ed amalgamare le diverse componenti che lo creano e gli danno forza. Soprattutto, dimostra che il black metal non è chiuso in un vicolo cieco e che continua a evolversi in maniera spesso convincente.
Stefano Masnaghetti