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Ammetto che il primo, omonimo vagito dei Kingdom Of Sorrow non mi piacque proprio. Troppo scontato e derivativo, per nulla coraggioso, un facile compitino a rischio zero portato avanti da chi, in teoria, avrebbe avuto tutte le carte in regola per scrivere pezzi più originali e creativi. Invece la sinergia fra Jamey Jasta (Hatebreed) e Kirk Windstein (Crowbar, Down) portò a un nulla di fatto, producendo undici brani di canonico sludge metal ricco di elementi southern che suonavano quasi come cover dei Crowbar stessi; fra l’altro, del metalcore degli Hatebreed non pervenne traccia.
Oggi, a due anni di distanza dall’esordio, i due ci riprovano, e bisogna ammettere che le cose vanno un po’ meglio. Il canovaccio è, ovviamente, il medesimo: metallo fangoso che si nutre di aromi sudisti e spleen redneck, e che basa tutto il proprio potenziale su riff saturi e compressi, una sezione ritmica imponente e schiacciasassi (il basso di Matthew Brunson è sempre impeccabile) e le rabbiose urla di lamentazione della coppia leader della band. Quello che però convince di più è proprio la qualità delle canzoni, dalle strutture sempre risapute ma più a fuoco, più dense e pastose.
La componente southern metal emerge in maniera più netta, aumentando la ricchezza delle composizioni: “Envision The Divide” somiglia ai Down riletti dai Crowbar, “From Heroes To Dust” è invece una semi ballad che rievoca certo pessimismo alimentato dal Southern Comfort di marca Down (e Pantera), “God’s Law In The Devil’s Land” proviene direttamente da “Nola”, e via elencando. Ci troviamo sempre nelle paludi della Louisiana, tuttavia questa volta c’è più passione e varietà. Un altro elemento che eleva “Behind The Blackest Tears” al di sopra del suo predecessore è riscontrabile nella maturazione vocale di Jasta, ora più duttile e meno monocorde, e nel rinnovato ruolo che, presumibilmente, il frontman degli Hatebreed si è assunto a livello compositivo; perché questa volta anche il metalcore gioca un ruolo importante all’interno del disco, come testimoniano le rapide e furiose “Sleeping Beast” e “Salvation Denied”, senza dimenticare le accelerazioni presenti in “Enlightened To Extinction”. Si sentiva davvero il bisogno di una maggiore differenziazione fra le varie tracce.
In breve, la seconda fatica dei Kingdom Of Sorrow merita una sufficienza piena. I fan dello sludge, del southern metal, dello stoner e, perché no, del metalcore più squadrato possono dargli una chance. Basta non aspettarsi mirabilia. Il problema di opere come questa è sempre la loro scarsa capacità di sopravvivere al trascorrere del tempo: le ascolti per due giorni, magari un paio di episodi ti prendono pure, ma il terzo giorno ti ritrovi già con i cd dei migliori in mano: in questo caso con quelli di Down, Crowbar, Pantera, Eyehategod, Black Label Society, Hatebreed, etc.
Detto questo, “Behind The Blackest Tears” rimane comunque un non disprezzabile passo avanti.
Stefano Masnaghetti