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Dopo aver cantato degli Dei della Terra, ecco che i The Sword decidono di decollare e trasportare l’ascoltatore nello spazio siderale. Non solo, perché “Warp Riders”, il loro terzo album, è persino una sorta di concept fantascientifico sulle peripezie di tale Ereth, un arciere proveniente dal pianeta Acheron che è stato esiliato dalla propria tribù. D’altra parte la copertina stessa, in odore di sci – fi anni Settanta (potrebbe ricordare il tratto di certi disegni del comic “Heavy Metal”) serve quale presentazione visiva per i contenuti lirici del disco.
In ogni caso, a livello musicale non è cambiato quasi nulla rispetto al passato. Le atmosfere non si sono fatte più dilatate né è stata incrementata la componente psichedelica della loro musica. Niente space – rock, quindi; non c’è traccia di Hawkwind o gruppi simili nei dieci brani che compongono “Warp Riders”. I The Sword continuano ad essere i portabandiera dello stoner metal più retrò che si possa immaginare, totalmente devoto ai Seventies ed al loro hard blues sanguigno e viscerale, che per esistere ha bisogno del crepitio degli amplificatori valvolari e di una buona dose di genuina passione. Fra echi di Led Zeppelin e Black Sabbath, il quartetto di Austin può esser considerato come una versione più pesante e meno fighetta dei Wolfmother; insomma, per intenditori di antiche vibrazioni analogiche.
Detto questo, “Warp Riders” è probabilmente il loro miglior lavoro. I riff si sono come ispessiti, e ora la band suona più grintosa che mai, forte di una maggior capacità di variare atmosfera e di coinvolgere chi l’ascolta. Anche le tracce strumentali sono più convincenti rispetto al passato, ora paiono un buon ibrido fra Fu Manchu e Karma To Burn. E fra un assolo polveroso e un hard rock d’antan, i Nostri piazzano almeno un paio di gioielli: l’hard blues funkeggiante di “Lawless Land”, ottima commistione tra Monster Magnet e Spiritual Beggars, e la minacciosa cavalcata alla High On Fire di “The Chronomancer II: Nemesis”. Continua a mancar loro qualcosa; forse l’eccesso di amore verso un’epoca musicale ormai passata da decenni impedisce a questi musicisti di essere un po’ più originali. Alcuni episodi sanno davvero di ‘relic rock’. Eppure la passione che ci mettono (s’intuisce la gioia che provano nel suonare solo ed esclusivamente la musica che davvero apprezzano) permette al nuovo LP di elevarsi dalla media delle uscite del genere, pronto per essere consumato da tutti i nostalgici cronici di un mondo che fu.
Stefano Masnaghetti