Converge All We Love We Leave Behind

Parlare del nuovo lavoro dei Converge può portare a ripetere concetti già ribaditi in passato, accusa che nell’era del web può tornare indietro al redattore di turno come un boomerang: “se dovessero decidere di sciogliersi domani, nessuno avrebbe nulla da recriminare“, “chi adora farsi violentare l’apparato uditivo non deve assolutamente mancare l’appuntamento con l’ennesimo centro dei Converge” sono affermazioni fin troppo spesso associate al quartetto capitanato da Jacob Bannon. Con “All We Love We Leave Behind” la trappola si ripresenta dietro l’angolo: anche nel 2012 siamo di fronte ad un assalto sonoro di livello eccellente, e con molta probabilità una delle pagine più splendide di una carriera che ha ormai superato il traguardo dei vent’anni.

Al contrario del precedente “Axe To Fall“, che ci aveva mostrato un combo con il freno a mano tirato, gli statunitensi hanno messo letteralmente l’anima nei quasi quaranta minuti di “All We Love We Leave Behind“. Un lavoro nel quale il quartetto di Salem ha ottenuto carta bianca dalla loro label Epitaph, con clamorosi risultati: i quattordici pezzi volano letteralmente, tra influenze hardcore e metal, con quelle strutture intricate e veloci che negli anni sono ormai diventate il loro marchio di fabbrica, e dando ampio spazio al loro lato “post“, con delle scelte stilistiche che richiamano nomi come i Neurosis e, soprattutto nel ritornello di “Coral Blue“, i connazionali Mastodon.

Li abbiamo adorati, per più volte nella loro carriera, quando propongono le loro schegge impazzite della durata inferiore ai due minuti (anche se, da veri maestri, riescono a spiazzare con il brevissimo mid-tempo alla Converge “Vicious Muse“), ma iniziamo ad amarli di brutto anche nelle canzoni più lunghe, dove possono sperimentare e sorprendere, come nello sludge della centrale “A Glacial Place” e nella combo conclusiva “All We Love We Leave Behind” / “Predator Glow“, nella quale propongono la loro personale visione di melodia.

Chiudiamo affermando che, anche al di fuori del lato musicale, i Converge si confermano un gruppo a tutto tondo, che ha voluto seguire tutte le fasi di stesura dell’album: dall’artwork vintage curato dallo stesso Jacob Bannon alla solita produzione di livello assoluto curata dal chitarrista Kurt Ballou, in un lavoro che dovrebbero insegnare nelle scuole di produzione musicale. Perché i Converge sono così: un collettivo che, dopo la paura di sbagliare del primo lavoro da autoprodotti, ha ormai la consapevolezza tipica dei grandi nomi di poter sfornare veri e propri capolavori con le proprie mani.

Nicola Lucchetta

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