Mancano due settimane al ritorno in Italia dei The Gaslight Anthem. Dopo due concerti di spalla a Soundgarden e Foo Fighters, la band del New Jersey tornerà per il suo primo show da headliner di supporto al nuovo lavoro “Handwritten” il 6 novembre all’Alcatraz di Milano. In occasione dell’atteso evento rispolveriamo una chiacchierata fatta con il leader del quartetto Brian Fallon lo scorso giugno all’Area Concerti di Rho, con il nuovo album, debutto su major, che sarebbe arrivato nei negozi dopo diverse settimane.
“L’unica differenza è il doppio di lavoro a livello promozionale: il doppio delle interviste, dei giornali, dei poster.. è una grande cosa!“, esordisce così Brian Fallon, toccando la svolta più importante dal punto di vista professionale dell’esordio su major. “La fortuna è che la Mercury ci ha messo sotto contratto permettendoci di continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto in passato. Non abbiamo avuto alcuna forzatura: ‘Handwritten’ non è altro che un nuovo tassello di un percorso iniziato ormai diversi anni fa. Abbiamo mantenuto un filo conduttore con le nostre origini, un po’ come quanto fatto dai Clash. Joe Strummer è uno dei miei riferimenti assoluti e la sua carriera è la conferma che può essere assurdo etichettare una band. Parlando di sonorità, già nel secondo disco i Clash non erano punk. La nostra fortuna è quella di incarnare le due anime del Jersey Sound: il punk dei Misfits e il rock classico di Springsteen“.
L’evoluzione è comunque arrivata con un diverso approccio alla scrittura, cambiato rispetto al passato: “Il mio modo di scrivere è cambiato con il tempo: leggere pezzi di diversi anni fa, oggi, un po’ mi imbarazza. Ma è una cosa normale, fa parte della crescita delle persone, e non solo dei musicisti. Da questo punto di vista non sono un professionista della scrittura come Springsteen, che ritengo uno degli artisti più prolifici della faccia della terra.. non mi alzo alla mattina e mi metto a scrivere delle canzoni. In questo senso sono una persona ‘tecnologica’: mi capita infatti di registrare con il cellulare un motivo che mi salta in mente. Ma la più importante evoluzione è solo una: prima mi concentravo solo sulle liriche, ora ho imparato che la musica ha ancora molto da dire“.
Da un musicista appena accasatosi su una prestigiosa major, è inevitabile chiudere con l’argomento internet che, secondo le etichette, ha ucciso il music business: “Ha ucciso un tipo di music business, fuori da ogni schema e logica, quello di vendere, vendere, vendere. Ne ha creato un altro, permettendo lo sviluppo di nuove e più moderne vie, che possono essere sfruttate ingegnandosi. Bisogna smettere di avere come unico fine il fregare il prossimo“.
Luca Garrò