Non passava dall’Italia da un paio d’anni e da un po’ più di tempo da Pistoia, ma Buddy Guy sembra sempre quello di un tempo.
Gli anni passano e ora sono settantaquattro, ma se pensiamo che tre settimane fa eravamo con BB King e fra due canteremo “Johnny Be Good” insieme a Chuck Berry, allora possiamo pensare di trovarci di fronte ad un adolescente.
L’aspetto più sbalorditivo del blues man di colore sta proprio nel fisico: possente, scattante e sempre in movimento, tanto che alcuni giovani tra il pubblico danno l’idea di non poter fare le stesse cose se venissero invertite le parti. La piazza è gremita come non era ancora successo quest’anno, forse per via di un bill troppo metal, e grazie anche alla pazzesca esibizione di Dweezil Zappa poco prima dell’apparizione di Guy.
Lo show rappresenta una sorta di Bignami del blues, un vademecum che chiunque dovrebbe tenere sempre nel proprio taschino: si passa da Muddy Waters ad Eric Clapton con una facilità disarmante e con un’umiltà rara da trovare in un mito vivente della musica del ‘900; ogni pezzo è un omaggio a qualche altro artista, come se sul palco ci fosse l’ultimo degli esordienti alle prime armi. Troppi (per elencarli) i picchi di un concerto che, per gli amanti del blues, finisce per trasformarsi in una sorta di messa, ma forse un paio di episodi hanno emozionato più di altri: senza dubbio “Boom Boom” (che scatena l’inferno in piazza) ed il medley “Voodoo Child/Sunshine Of Your Love”.
Il suo feeling con lo strumento, in alcune fasi dello spettacolo, è talmente violento da farlo sembrare un pazzo in preda a convulsioni, tanto che, parafrasando un suo pezzo, potremmo dire che nessuno lo capisce quanto la sua chitarra.
Luca Garrò