Intervista John Taylor: Il meglio deve ancora venire

Dopo 32 anni sulla scena, due Grammy, un leggendario sondaggio di People vinto come “Persona più desiderabile del mondo” e 100 milioni di dischi venduti, John Taylor, il bassista e fondatore dei Duran Duran non si sente per niente arrivato. “So che non ho un posto nella storia ancora oggi, e con me lo sente anche Nick Rhodes (il tastierista della band). In quell’Olimpo ci sono persone come David Bowie. A me piace pensare che ci sia ancora molto da fare, è questo il motivo per cui andiamo avanti a scrivere canzoni. Abbiamo fatto un buon album con Mark Ronson due anni fa, il prossimo deve essere migliore”.

Parla così il musicista di passaggio a Milano per la promozione della sua autobiografia, “Nel Ritmo Del Piacere: Amore, morte e Duran Duran” (Arcana), un avvincente viaggio di circa 400 pagine ricco di aneddoti, incontri e considerazioni personali e musicali. Un bel libro per gli amanti della musica anni 80 ma anche per tutti quelli che sono interessati a capire realmente cosa si prova a passare dalle vette del successo ai problemi di relazione e di dipendenze. “Ho voluto scrivere questo libro – ci ha detto – perché prima di tutto voglio essere ancora in contatto con i miei genitori, con le mie origini. Vivo a Los Angeles e non in Inghilterra, e i genitori non ci sono più. Era uno dei pochi modi che avevo per consolidare questi legami. E poi volevo raccontare in maniera dettagliata di quel momento magico che ci ha visti uniti per un’ambizione. Nel 1980 quando la band ha iniziato a fare spettacoli, eravamo in un buon momento per la musica giovanile e non solo. I giovani avevano preso il potere, tutto quello che era vecchio non era buono. Dai Sex Pistols in poi nessuno si sognava di suonare delle cover. Tutto doveva essere nuovo, indipendente, autonomo. Credo che questo rifiuto del passato, l’ignorare di cimentarsi con chi ci ha preceduto abbia fatto bene ai Duran Duran e alle band della loro generazione”.

Ma non è stata tutta “golden” la storia di Taylor. Nel racconto abbondano passaggi stupefacenti (in tutti i sensi) della sua fase di disorientamento, che solitamente è coincisa con periodi di scarso successo commerciale dei dischi che ha fatto. Tranne che in un frangente, nello scorso decennio, quando da padre e marito felice, ha rimesso in piedi la band nella formazione originale ma, a suo dire, non ha funzionato a perfezione: “Quando abbiamo fatto la reunion dei Duran 10 anni fa pensavamo sarebbe stato semplice. Io ero pulito, sobrio ma è stato il resto a non funzionare. È diventato divertente solo col tempo. Mi dispiace non aver fatto un buon disco con Andy Taylor (Astronaut del 2004, ndr), e quello successivo, Reportage non è mai uscito. Quando abbiamo pensato di farci produrre da Timbaland, Andy se n’è andato. Penso ancora oggi che quell’incontro sarebbe potuto essere uno dei più memorabili per questa band”.

Forse Taylor è eccessivamente “choosy” con la sua storia. Dal 1984, tutti i dischi dei Duran Duran (ad eccezione di Pop Trash del 2000) sono sempre entrati nella top 10 italiana. A giudicare dalla folla che lo ha seguito in un signing da 500 persone ai Magazzini Generali di Milano, il gruppo gode ancora adesso dell’appoggio incondizionato del pubblico tricolore. “Abbiamo una relazione speciale con il vostro paese, per questo ho messo molto dell’Italia nel capitolo del nostro tour del 1987. Il primo tour negli stadi, ce lo ricordiamo ancora. Ci sentivamo al centro di un successo centuplicato da voi. L’Italia è davvero l’ammiratore più fedele che abbiamo”.

Grazie a Christian D’Antonio. Credits cover story Raffaella Piermarini

 

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