[Drone/Avanguardia] Sunn 0))) – Monoliths …

 

[Drone/Avanguardia] Sunn 0))) – Monoliths & Dimensions (2009)

Aghartha – Big Church (Megszentségteleníthetetlenségeskedéseiteké) – Hunting & Gathering (Cydonia) – Alice

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Questa volta Stephen O’Malley e Greg Anderson hanno superato se stessi, smarcandosi definitivamente dal drone duro e puro e andando ad esplorare regioni musicali che in passato non avevano mai osato approfondire sino a questo punto. Certo la componente più legata al metal e al doom super rallentato rimane, ma ormai il fine non è più quello di realizzare lunghi brani densi solo di vibrazioni, feedback e riverberi infiniti, bensì quello di comporre veri e propri pezzi d’avanguardia. Complessi, mutevoli, sicuramente oscuri, a volte persino epici.

C’era d’aspettarsi che questo “Monoliths & Dimensions” non sarebbe stato il solito disco dei Sunn. Il sentore era nell’aria. Bastava consultare la lista degli ospiti chiamati a collaborare al disco: oltre ai consueti nomi – Attila Csihar, il loro vate Dylan Carlson, Steve Moore – figuravano pure musicisti come Eyvind Kang (collaborazioni con John Zorn, Mike Patton e Mark Ribot, tra gli altri) e Julian Priester (trombonista tra i più grandi al mondo, nel cui curriculum compaiono Herbie Hancock, Max Roach, John Coltrane e la big band di Sun Ra). Insomma, l’intento di creare qualcosa degno di essere ricordato nel tempo era chiaro. Quello che più conta è che quest’obiettivo è stato raggiunto.

Data la natura dei musicisti coinvolti nel progetto, si è parlato di un avvicinamento dei Sunn al jazz sperimentale. Sicuramente alcuni riferimenti al Sun Ra più torbido e misterioso possono essere facilmente colti. Ma più che al jazz “Monoliths & Dimensions” guarda alla classica contemporanea, sia europea sia americana. In questo senso le intuizioni del Ligeti di “Atmosphéres” e del Reich di “Music For 18 Musicians” attraversano l’album in lungo e in largo, vivificando le visioni di solida tenebra che O’Malley e Anderson sono soliti rappresentare. Nascono così quattro composizioni riuscitissime nel loro giostrarsi fra vecchio drone sfiancante e nuovo sinfonismo d’avanguardia.

“Aghartha” (titolo di un disco del Miles Davis più elettrico ed eclettico) parte nel modo più tradizionale possibile: chitarra e basso in risonanza, intenti a disegnare il consueto paesaggio sonoro fatto di bassi ipersaturi e amplificatori al limite delle loro capacità. Poi però qualcosa muta. Arriva il recitativo secco e scandito di Attila, baritonale e cavernoso. Arriva soprattutto uno stuolo di strumenti “classici” (viola, violino, contrabbassi, corno inglese e francese, clarinetto, pianoforte), i quali però vengono utilizzati in libera atonalità, fornendo uno sfondo stridente e dissonante alla recitazione di Attila, che conclude il suo monologo immerso nei fruscii del vento e nei gorgoglii dell’acqua. “Big Church” vive dell’alternanza fra i ruggiti di ben quattro chitarre (ci sono anche Dylan Carlson e Oren Ambarchi alle sei corde) e le note sospese di un coro polifonico femminile, trattato come avrebbe potuto farlo Luigi Nono, mentre Attila declama una specie di mantra in ungherese e isolati rintocchi di campana segnalano i contrasti fra silenzio assoluto e ripartenze delle chitarre. Si passa poi alla ritualistica e percussiva “Hunting & Gathering”, immersa in un’atmosfera degna dei primi Current 93 e percorsa dai bagliori degli ottoni. Poi è la volta di “Alice”, il capolavoro del disco, piece strumentale d’incredibile inventiva e di grande mobilità armonica. Un gioiello che inizia in sordina, fra cupe distorsioni di basso e chitarra, nelle quali però già s’insinuano improvvisi acuti dei fiati, raggruppati in dense fasce sonore lentamente cangianti (ecco Ligeti). Intanto, mente le masse foniche costantemente divengono (ecco Reich), il trombone espone una melodia epica, persino rischiarante, che nella coda del pezzo viene sostenuta dal timbro tenue e nitido dell’arpa. Una conclusione inaudita, per un disco che dall’esplorazione del nero passa, proprio nel suo svanire, all’esplorazione del bianco. Dando la sensazione di esser giunti allo spuntare dell’alba dopo aver compiuto un viaggio interminabile in una notte senza luna.
E adesso si può davvero parlare di gruppo fondamentale per le sorti della musica audace e non conformista. Non sappiamo se il duo, in futuro, tornerà sui suoi passi e si rimetterà a scrivere materiale più scontato, normativo. Per ora sappiamo che “Monoliths & Dimensions” è il loro apice creativo, e probabilmente uno dei dischi più interessanti e innovativi del 2009.

Stefano Masnaghetti

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