«The Terror is, we know now, that even without love life goes on. We just go on, there is no mercy killing»: così Wayne Coyne, leader dei The Flaming Lips, ha presentato la perturbante, traumatica rivelazione all’origine di The Terror, tredicesimo album della band di Oklahoma City. Prodotto con il solito Dave Fridmann e registrato nei suoi Tarbox Road Studios questo disco è più oscuro e intimo rispetto ai lavori precedenti: la ragione di tutto ciò sta nella fine della relazione sentimentale di Coyne con sua moglie Michelle. Ecco cos’è il terrore: la consapevolezza che dopo, oltre l’amore ci sia ancora vita, e che dunque la vita non sia solo amore, ma anche altro. E cosa possiamo essere ancora? «I don’t really want to know the answer that I think is coming: that WE were hopeless, WE were disturbed and, I think, accepting that some things are hopeless».
Stando alla musica e alle atmosfere di Terror una cosa sembra essere certa: senza amore siamo spettri, e la vita non può più essere la stessa di sempre. L’elemento ritmico perde i propri connotati vitali fin dalla open-track (Look…The Sun is Raising), subendo minimizzazioni e frammentazioni lungo tutto il percorso con il consequenziale annichilimento del movimento; la gravità viene elusa, gli spiriti aleggiano in un mondo senza tempo. The sun shines now / But we can’t see (Be free, A way, uno dei pezzi che da solo varrebbe il prezzo del biglietto): sulla stessa scia del ritmo anche gli strumenti appaiono svuotati della propria ricchezza armonica e sono ridotti a parvenza di quel che dovrebbero essere, di quel che sarebbero. Love is always something /Something you should fear: il dominio del terrore interviene sulle percezioni: le tensioni e le sonorità sono lisergiche e allucinanti, non fisiche; plasmano una dimensione interiore, onirica, da incubo. You lust, you lust, you lust / Lust to succeed: voci e melodie spirano per queste lande pervase di una luce accecante – come suggerisce la copertina del disco – cantilenando, salmodiando in cerca di una consistenza fisica in grado di restituire certezze e motivazioni, di riconsegnare lo spirito alla vita reale, magari scorgendo la luce di una speranza (di un nuovo, possibile amore?). «Letting hope in one area die so that hope can start to live in another?»: forse sta in questo interrogativo la risposta tanto temuta. O forse no. Il dualismo di You are Alone, Butterfly, How Long It Takes To Die e Turning Violent acuisce lo scontro e alimenta l’equilibrio.
Finché, nel finale, il ritmo recupera la propria forma e i battiti riprendono a pulsare in Always There, In Our Hearts, lasciandoci pensare – o almeno sperare – che il terrore sia solo un momento, e che lì, sempre nei nostri cuori, sia il luogo dove combattere il nemico e fare i conti. Questo è The Terror: un viaggio da intraprendere tutto d’un fiato, un inferno di luce innaturale dove vivere a fondo l’assenza, nel tentativo di lasciarsela alle spalle.
Cristian Ciccone