Bon Jovi Milano San Siro 29 giugno 2013

I Bon Jovi si esibiscono in concerto questa sera sabato 29 giugno 2013 allo Stadio San Siro di Milano. La scaletta dell’evento è stata motivo di discussione per molti mesi tra i fan: greatest hits lineare? Chicche una via l’altra? DVD celebrativo? Sicuramente questa data è stata lungamente attesa anche dal leader del gruppo del New Jersey, che ha sempre avuto tra gli obiettivi dichiarati quello di suonare al Meazza, tradizionale luogo di show colossali dell’idolo di Jon il Boss Bruce Springsteen. (Cover story BonJovi.it)

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La band attacca puntualissima alle 20:30 con “That’s What The Water Made Me”, seguita a ruota dalle mega hit “You Give Love A Bad Name” e “Raise Your Hands”: lo stadio vibra di passione, il pubblico canta all’unisono e il sound è (a sorpresa) bello alto e nitido. “Runaway” fa saltare il cuore in gola ai nostalgici, durissima e sorretta dai favolosi cori di David Bryan e dal sostituto di Sambora Phil X alla chitarra. “Lost Highway”, immancabile tributo alla musica country contenuto nel vendutissimo (negli States) album omonimo, precede “Born To Be My Baby”, partecipatissima e sentita da una folla che è ai piedi del frontman. Frontman che a dirla tutta deve ancora scaldare la voce, gioca d’esperienza in questa prima mezz’ora e dispensa sorrisi a manetta a tutti i convenuti. “It’s My Life” è un altro inno generazionale (del 2000) che prepara il terreno a uno dei momenti più attesi della serata…

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Su “Because We Can”, il Bon Jovi Club Italia e Bon Jovi punto it svelano i propri piani tenuti segreti per mesi: una coreografia spaziale avvolge prato e i due anelli del Meazza: colpo d’occhio eccezionale (cercate le foto sul web, noi eravamo in tribuna stampa e non siamo riusciti a fare più di quanto vedete qui) e Jon che stoppa la canzone dopo il primo ritornello commosso; la fa ripartire e al termine ringrazia il pubblico con queste parole: “Grazie davvero, sto piangendo come una ragazzina!“. Emozioni a nastro.

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Seguono “What About Now” e una terremotante versione di “Keep The Faith”, seguita dalla soffusa “Amen”, in cui Jon dimostra di aver carburato a dovere. Un altro classicone “In These Arms” vede nuovamente in gran spolvero il grandissimo Bryan alle tastiere, oltre al pubblico di San Siro che canta alla grande il famosissimo ritornello. E’ quindi il turno di “Captain Crash & The Beauty Queen From Mars”, “We Weren’t Born To Follow” e “Who Says You Can’t Go Home”, pezzi più recenti su cui la folla si diverte, benché i nostalgici non vadano esattamente in brodo di giuggiole.

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Arriva la prima variazione alla scaletta diffusa in tribuna stampa, Jon parte con “Rockin’ All Over The World” di John Fogerty (le prime file la richiedevano con diversi cartelli), la risposta del Meazza è di pregio, ma non ne dubitavamo. Si rientra nei piani originari con una goduriosa “I’ll Sleep When I’m Dead”. Su “Bad Medicine” viene giù anche il terzo anello, Jon si fa tutta la passerella intorno al Diamond Ring e le prime due ore di set vanno brillantemente in archivio.

Dopo un intermezzo video parte l’incredibile “Dry County“, una cavalcata meravigliosa da pelle d’oca che fa trasalire la press zone visto che la setlist subisce un altro scossone (si sprecano le domande “oddio scusa ma che brano è questo?” da parte di chi ancora non ha abbandonato la postazione per andare a casa prima s’intende…, ndr). Dopo aver simbolicamente unito in matrimonio due fan delle prime file, Jon parte con “Someday I’ll Be Saturday Night”, secondo brano di un encore di livello assoluto. “Love’s The Only Rule” anticipa “Wanted Dead Or Alive”, dove la coreografia fa ancora bella mostra di sé all’interno del Meazza. Segue “Undivided“, sign request presa dalle prime file, quindi “Have A Nice Day” e “Livin’ On A Prayer” per l’apoteosi conclusiva (per ora).

In realtà dopo gli inchini e i ringraziamenti di sorta, Jon imbraccia ancora la chitarra acustica e attacca da solo “Never Say Goodbye” (prima strofa e ritornello) per la gioia dei fan della prima fila che la richiedevano con un altro cartello. E’ quindi la volta della doppietta “Always/These Days“. E sono lacrime anche in tribuna, il leader dei Bon Jovi dà tutto ciò che gli resta cantandola benissimo, il resto del gruppo si esalta con un grande Tico Torres dietro le pelli. Incredibilmente c’è ancora spazio per “This Ain’t A Love Song“, quando oramai si stavano accendendo le luci dell’impianto!

Tre ore e dieci minuti di set, Jon vocalmente in modalità diesel (molto controllato all’inizio, a volte pure troppo) e commovente nel doppio (o triplo, sti cazzi come volete voi) encore, una prestazione complessivamente inferiore a quella esagerata di Udine di due anni fa, ma certamente allo stesso livello emozionalmente parlando. Inoltre si può dire/scrivere quel che si vuole sui Bon Jovi, ma dal vivo rimangono una delle migliori rock band di ogni tempo e, personalmente, un rapporto così stupendo tra band e fans l’ho visto solo a Springsteen. Grande evento, attese pienamente rispettate. Sipario.

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