È di Liverpool ed ha appena 27 anni, eppure ha già alle spalle un passato ricco di esperienza in due band (The Rascals e The Last Shadow Puppets). Inoltre ha da poco pubblicato il suo secondo album solista “Don’t Forget Who You Are”. Insomma, per Miles Kane il 2013 è un momento d’oro. E ora è arrivato il momento di affermarsi anche nel mercato italiano con tre attese esibizioni live: lo troveremo tra pochi giorni come ospite speciale degli Arctic Monkeys (10 e 11 luglio, rispettivamente al Rock in Roma e al Ferrara Sotto Le Stelle) e come headliner a Milano il prossimo autunno. In occasione dell’uscita del nuovo disco e dell’imminente minitour estivo, abbiamo incontrato il cantante inglese per due chiacchiere.
Miles, l’11 giugno hai pubblicato il tuo secondo disco “Don’t Forget Who You Are”. Come ti senti a riguardo?
Sono molto felice, è bello aver avuto la possibilità di pubblicare così presto il successore di “Colour of the trap”. Anche il processo di lavorazione è stato rapidissimo: a febbraio era già praticamente tutto pronto!
Ascoltando il disco, la cosa che mi ha colpita maggiormente è stata la contrapposizione tra gli arrangiamenti molto più ritmati e immediati da una parte e le lyrics, più cupe, dall’ altra. A cosa si deve questa scelta?
Quando ho scritto i pezzi mi è venuto spontaneo adottare parti melodiche molto veloci e ritmate. Per quanto riguarda le lyrics, invece, ho vissuto esperienze talmente forti, come l’innamorarsi e disamorarsi di una persona, che necessitavano di essere rese con un testo altrettanto d’impatto.
Prima di dedicarti alla tua carriera solista hai militato nei The Rascal e nei The Last Shadow Puppets, gruppo che hai formato insieme al tuo amico Alex Turner (leader degli Arctic Monkeys, ndr). Cos’hai portato con te di queste esperienze?
All’epoca mi limitavo a suonare la chitarra e non ero in primo piano. Ma queste esperienze mi hanno fatto crescere e reso più solido e robusto in quello che faccio. Se non le avessi avute, probabilmente non saremmo qui a parlarne.
Un’altra impressione che ho avuto è che i brani contenuti in questa tua seconda release siano fatti su misura per la dimensione live…
Ci hai preso in pieno! (ride, n.d.r.). Era esattamente l’intenzione che avevo quando stavo lavorando all’album. Mi piace scrivere nuovo materiale e suonarlo in studio, ma è nel live che rendo al massimo! L’energia del pubblico è linfa vitale che mi carica e mi spinge a dare il meglio. E poi è così bello vedere la gente che si scatena.
Per questo album hai collaborato con Paul Weller. Come ti sei trovato?
Divinamente, Paul non è solo un grande artista ma anche un’ottima persona. Inoltre è anche uno dei miei miti. Cosa volere di più?
Quali sono le canzoni di cui vai più fiero?
Senz’ombra di dubbio “Taking Over” e “Don’t forget who you are”, per due ragioni diverse. “Taking over” è stata uno dei primissimi pezzi che ho scritto e ho pensato “wow, il disco deve avere proprio questo sound”. La title track, al contrario, è stata una delle ultime canzoni che ho realizzato. Il messaggio di questo pezzo è che bisogna sempre ricordarsi di chi siamo. Credo talmente tanto in quest’idea che ho voluto renderla anche sulla copertina. C’è raffigurata la macelleria dove lavoravo quando ero ragazzino e dove lavorano ancora mia zia e mia madre. Fa parte della mia vita e mi piace conservare questi ricordi.