Qualche brevissimo cenno biografico per iniziare: i Veil Veil Vanish sono un quintetto proveniente da San Francisco qui al loro debutto sulla lunga distanza, avendo già all’attivo un EP. In realtà negli Stati Uniti “Change In The Neon Light” è già uscito l’anno scorso, ma solo adesso giunge in terra europea. Pur essendo americani, il loro sound è totalmente influenzato dalla musica inglese, specialmente dalla new wave intesa nella sua accezione più dark e decadente.
Molta stampa li ha definiti quali “nuovi Cure”. E in parte è vero. Non è un caso che abbiano partecipato alla compilation “Perfect As Cats”, ideata proprio in onore di Robert Smith e compagni. Tale influsso è evidente nella maggior parte dei brani, sia a livello vocale sia, soprattutto, strumentale: il giro di basso in “Anthem For A Doomed Youth” fa immediatamente apparire alla memoria la storica “A Forest”, e in altri pezzi emergono i Cure più pop ed atmosferici, quelli di “Disintegration” e oltre, specie per quanto riguarda il lavoro delle chitarre. Sarebbe però ingiusto etichettarli come loro cloni, perché c’è molto altro. C’è un uso delle dissonanze che in alcuni luoghi può ricordare i Bauhaus, tastiere e sintetizzatori che richiamano i Depeche Mode, alcuni lievi tocchi shoegaze (Jesus And Mary Chain), vibrazioni alla Joy Division e persino qualche gancio ai Duran Duran (cfr. gli incisi di chitarra in “Detachment” oppure la voce stessa in “What Will You Say Tonight”).
A spiccare è la loro preparazione, straordinaria per una band al primo album, e lo sforzo che dimostrano di attuare per risultare freschi e personali nonostante i riferimenti stilistici prediletti siano, anche a causa del recente revival wave, decisamente abusati. “Change In The Neon Light” potrebbe piacere non solo a qualche dark rimasto ibernato nelle nebbie dei primi Ottanta, ma anche a parecchi fan di gruppi come White Lies e simili (e non riesco a schiodarmi di dosso l’impressione che canzoni come la title – track possano esser considerate come una versione ultra leggera dei Deftones). Poi certo, nonostante si prodighino con ardore, sfarzo e munificenza per non risultare scontati, qualche punto morto nel disco c’è, e dopo qualche ascolto si notano le saldature. Ciononostante abbiamo a che fare con un ottimo esordio decisamente al di sopra della media, da non sottovalutare.
Stefano Masnaghetti