Raggiungiamo telefonicamente il frontman del gruppo statunitense degli Staind a meno di un mese dalla data italiana di Milano del 15 giugno.
22 maggio 2009
È passato un anno dall’uscita dell’album “The Illusion Of Progress”; traccia un bilancio.
Sono stati dodici mesi molto soddisfacenti, siamo riusciti a suonare in paesi in cui non andiamo spesso, mi sento abbastanza soddisfatto da quello che siamo riusciti ad ottenere durante gli ultimi tour. Il tour di supporto ai Nickelback in Europa è stato fantastico, abbiamo potuto suonare davanti a persone che altrimenti non ci avrebbero potuto vedere.
Quali sono le principali differenze per gli Staind tra il mercato americano e quello europeo?
Non abbiamo mai passato molto tempo in Europa cercando di farci un nome rispetto a quanto è avvenuto negli States. Il nostro management ci ha sempre voluti più presenti negli States per poter fare più soldi, con ovvie conseguenze per certi mercati. Attualmente stiamo cercando di risolvere questo problema tenendo maggiormente in conto l’estero come meta delle nostre tournée.
Possiamo dire, tornando indietro di molti anni fino a “Tormented”, che abbiamo assistito a una crescita e a un cambiamento radicale nella band? Dalla furia e dalla rabbia degli esordi, all’introspezione e a volte all’intimismo di certi brani? Sei d’accordo?
Assolutamente si, quindici anni fa quando abbiamo scritto “Tormented” e “Dysfunction” era tutto molto diverso per noi; io specialmente ero molto incazzato, frustrato e ostile verso il mondo. Col passare degli anni sono cresciuto, maturato, riuscendo a guardare le cose in modo diverso; il mondo intorno a me mi ha influenzato cambiandomi e come hai detto te questo si è visto nell’evoluzione dei nostri dischi.
Come giudichi l’attuale scena americana rock? Pare che negli ultimi due anni ci sia un ritorno prepotente di sonorità hard e grunge riviste in chiave moderna, sei d’accordo?
Sono d’accordo nel dire che sta cambiando ancora, ma non so davvero in che modo. Il panorama è cambiato sotto i nostri piedi un sacco di volte da quando gli Staind sono nati. La cosa migliore che siamo riusciti a fare durante la nostra carriera è stata quella di non preoccuparci mai dei fattori esterni, o di adeguarci a quello che vendeva al momento; ci siamo preoccupati solamente di entrare ogni volta in studio per scrivere il materiale migliore che potessimo pensare.
C’è qualche gruppo in particolare che apprezzi che non sia già un grosso nome come Staind, Nickelback, 3 Doors Down?
I Black Stone Cherry sono grandiosi, giovani e soprattutto nostri amici, così come gli Hellstorm…onestamente però devo confessarti che non ascolto molta musica, purtroppo ho una vita abbastanza occupata, e quindi questo finisce per non essere una delle mie priorità quotidiane.
So che Layne Stanley è stato uno dei tuoi idoli, cosa pensi del fatto che gli Alice In Chains stanno per uscire con un nuovo disco di qui a breve?
Non so cosa pensare onestamente, sono un grande fan della formazione storica, ma non apprezzo molto il loro nuovo cantante; non voglio dire niente che poi magari rimpiangerò, sappi solo che sono in attesa di questa nuova release come tutti gli altri.
Quali sono le soddisfazioni che ancora non vi siete tolti? Quali sono i vostri prossimi obiettivi?
Vogliamo disperatamente andare nei paesi in cui non abbiamo ancora suonato. Trovo inaccettabile che dopo tutti questi anni di carriera e dopo aver venduto oltre 15 milioni di dischi non siamo ancora riusciti a esibirci live in posti come Giappone, Australia, Nuova Zelanda, America del sud, Asia.
Nicolò Barovier