Rapporti con le major, la scena italiana e Milano sono solo alcuni degli argomenti toccati nella lunga chiacchierata fatta con il chitarrista prima del concerto al New Age Club di Roncade (TV)
Come è stata la genesi di “Fuori”, il vostro ultimo disco?
Devo dirti che la genesi è stata molto lunga. Quando non siamo in tour, “viviamo” nello studio di registrazione del nostro produttore; ci viene naturale scrivere e registrare continuamente, con delle pause che concordiamo tra di noi. “Fuori” è nato in tour, a Milano e a Berlino. La capitale tedesca l’ho scelta perché quanto scrivo qui in Italia preferisco prenderlo, arrangiarlo ed eventualmente integrarlo lontano da Milano, dove nessuno mi può rompere i coglioni. L’ultima volta, per dirti, ho preso una camera in affitto e per dieci giorni ho registrato buona parte delle idee che hanno dato origine a “Fuori”.
Avete programmi per il 2011, dopo queste date di dicembre?
Iniziamo già con una nuova serie di live il 5 gennaio e, a naso, saremo in tour fino a febbraio 2012. il primo giro facciamo sempre le città, nelle quali gettiamo le basi per il futuro; poi in primavera facciamo date in provincia, per poi ritornare nelle città. L’estate è la solita giostra dei festival estivi, per la quale inizieremo a fare qualche programma nelle prossime settimane. Ci piacerebbe tornare al “Balla coi cinghiali”, un festival molto bello, e ad altri festival qui in Veneto, come il Rock and Doc. Adoriamo questa regione perché qui trovi una serietà e una professionalità senza uguali, come qui al New Age, locale nel quale suoneremo per la quarta volta.
Siete tra i pochi gruppi capaci di passare da indie a major (Universal) già dalla seconda release. Avete dei paletti da rispettare o l’etichetta vi ha dato carta bianca?
Prima di firmare ogni contratto avevamo preteso carta bianca, che personalmente intendiamo come un diritto di veto su tutto. La nostra fortuna è che i nostri referenti in Universal vogliono prima di tutto il nostro bene. Certo, con loro abbiamo avuto degli scazzi ma sono normali attriti pertinenti, come quelli che abbiamo con il nostro produttore. Universal ci ha preso consapevole che con noi noi avrebbe fatto grossi profitti: con i Ministri ha deciso di investire soldi soprattutto per un ritorno d’immagine. L’esperienza, finora, è stata veramente figa: all’inizio era un po’ difficile perché avevamo difficoltà a comunicare, problema che abbiamo risolto con il tempo. L’unico “vincolo” che la major ti chiede è quello di scrivere belle canzoni, ed è una cosa che ci piace e facciamo con grande gioia.
Perché avete deciso di ristampare “I soldi sono finiti” includendo dei pezzi delle vostre giacche?
Tieni conto che la scelta di ristampare “I soldi sono finiti” l’abbiamo presa autonomamente, perché il master è di nostra proprietà. Tutte le copie sono state gestite in autonomia, dalla stampa alla vendita ai banchetti dei concerti, senza passare per Universal. Lo abbiamo fatto autoproducendoci perché passando con una major perdi una cosa che ci affascina moltissimo: la possibilità di fare dei packaging diversi per i tuoi dischi. La scelta di mettere i pezzi delle giacche o le monete, come abbiamo fatto in passato, è stata fatta su un numero di copie ragionevole, che ci permetteva di gestire il lavoro tra di noi. È una cosa che ovviamente puoi fare se ha il tempo e le palle di farlo. La scelta delle giacche o l’euro si basa su come i Ministri volevano fotografare quel momento: chi ci ha dato fiducia agli esordi, si è preso l’euro, il pezzo dei nostri “abiti di scena” è arrivato perché, ai tempi, le giacche napoleoniche erano ridotte a brandelli. Da qui l’idea di regalare un pezzo per ogni copia di “I soldi sono finiti”.
Pierpaolo Capovilla mi disse che, negli ultimi anni, la musica è tornata a parlare di fatti reali e non solo di cazzate. Secondo te, nel 2010, il voler sentir parlare di questi argomenti è un sano interesse o è un po’ la moda del momento?
Ma lo sai perché siamo riusciti ad entrare in classifica con “Fuori”? Un solo motivo: nei due mesi precedenti all’uscita abbiamo lavorato così tanto, parlando con i fan e con gli addetti ai lavori, che la gente ad ottobre è esplosa ed è andato a comprarlo. Un esempio è il tour delle Fnac, che è andato da dio. Il risultato è che chiunque ha acquistato “Fuori” nella prima settimana, mossa che ci ha permesso di arrivare al quindicesimo posto in classifica. Perché questa lunga premessa? Per dirti che ci sono, per fortuna, delle realtà come noi, Le Luci Della Centrale Elettrica e Il Teatro Degli Orrori che da anni stanno portando avanti un discorso interessante, raggiungendo una certa credibilità che qualitativamente e numericamente sta iniziando a diventare notevole. Che chi, come noi, nei testi si collega al presente e al reale, ma anche gente come Dente che non si focalizza su fatti concreti. C’è la voglia di costruire qualcosa di importante girando su e giù per l’Italia in tour e che, pian piano, sta ottenendo l’interesse della gente. Se uno ne è affascinato entra nel giro e lo apprezza, ma non è nostra intenzione far diventare i nostri testi e la nostra musica la verità assoluta. Non sta a noi giudicare i Ministri, ma ai fan che vengono ai nostri concerti. Dall’altra parte della barricata c’è la merda, che in genere è roba fatta senza amore e brutta, con arrangiamenti testi spesso banali, con il solo desiderio di massimizzare al massimo i profitti subito. E vittime di tutto questo sono spesso i cantanti che escono dai talent show. Sia chiaro: non voglio parlar male degli artisti pop. Basta pensare ad un Tiziano Ferro, che di recente ha pubblicato pezzi di alto livello, Lady Gaga o Madonna.. musicisti di enorme valore. C’è un diritto dei fan e dei musicisti di divertirsi e far divertire con cose più leggere e meno impegnative.
Siete cresciuti a Milano, più precisamente in locali come il Magnolia.. come vivi la tua città da musicista e da cittadino?
Guarda, il Magnolia è, di fatto, la nostra seconda casa e il nostro quartier generale, insieme a tutti i centri sociali nei quali siamo, di fatto, cresciuti. Tornando alla domanda, posso anticiparti che nelle prossime settimane pubblicheremo una serie di guida a puntate su come viviamo la nostra città. Un lavoro fatto per dimostrare l’amore forte nei confronti di Milano, con la consapevolezza che negli ultimi anni sta vivendo un naufragio e una parabola discendente, con una forte decadenza nella quale nessuno vince e tutti sono sconfitti. Nel nostro piccolo, cerchiamo di agire, mettendoci in primo piano per iniziative reali e concrete, collaborando con centri sociali e case editrici. Magnolia è per noi un ottimo esempio di come continuare la tradizione dei centri sociali, colpiti da un certo terrorismo mediatico che dura da troppo tempo, restando comunque nella legalità e con un’organizzazione seria e con una programmazione varia, diventando un punto di riferimento e di incontro. I centri sociali storici, in buona parte, non sono riusciti ad adattarsi ai tempi, diventando spazi di incontro e di “copertura” per chi ne ha la necessità. E con “copertura” intendo non solo il freddo allegorico, ma anche quello meteorologico: siamo arrivati al punto che se arrivi a Milano da altre regioni o altri Stati e non hai un euro per fare una consumazione al bar, ti restano solamente le Chiese come punto di rifugio. E te lo dice una persona non battezzata.. è una cosa molto pesante, per una città come Milano.
Come vedi la tua città tra cinque anni, quando sarà protagonista dell’Expo?
Stiamo andando incontro a delle elezioni comunali che si terranno il prossimo anno, dove si scontreranno la Moratti (autrice di una serie di danni spaventosa) e Pisapia, uno dei sindaci storici della sinistra milanese. E ti dico che, per la prima volta dopo tanti anni, c’è la seria possibilità di vedere un sindaco della città di sinistra. Il problema grosso di Milano è che non è stata ancora capace di trovarsi una sua identità. Prendi Torino: una città che ha il suo centro storico, Piazza Vittoria, dove gli affitti sono ancora accessibili e che è il vero punto di ritrovo dei torinesi. Milano cos’è? Un mix di punti di aggregazione per turisti americani, giapponesi, arabi di passaggio e teenager da fuori città. Il risultato è che nessun milanese passa il suo tempo libero là. La cosa brutta è che questo cambiamento è avvenuto in pochi anni: quando ero ragazzino io, ad esempio, c’erano moltissimi cinema e tutti si trovavano là. Parlando del discorso Expo, posso dirti che il mio quartiere storico, Isola, diventerà una merda perché ci costruiranno tutti i palazzoni. Si può solo sperare che si organizzi una sacca di resistenza capace di contrastare la decadenza e che lotti per creare una città migliore, al punto che ogni milanese possa dire senza problemi “Che bella Milano!”.
Nicola Lucchetta