È tipico di Maynard stupire, disattendere le aspettative dei fan, giocare con la loro capacità di mantenere la calma. La resistenza dell’attesa. Perché totalmente al di fuori delle dinamiche di mercato, il cantante è uno dei pochi che dà valore alla produzione artistica. Sa che ogni creatura ha bisogno del suo contesto, della sua gestazione, di una giustificazione più alta che non sia quella di riempire la pancia borbottante di una schiera di ascoltatori che racchiude tre gruppi. Perché quando ti aspetti un album degli A Perfect Circle ne esce uno dei Puscifer. Quando tutto il mondo aspetta un album dei Tool ne esce invece uno degli A Perfect Circle.
“Eat The Elephant” è il terzo album della band. Tre album in diciotto anni la dice lunga sul ritmo atipico di una formazione che ad ogni mossa è sotto i riflettori di tutto il mondo alternative. Perché quel “Mer De Noms” del 2000 aveva definitivamente abbassato il sipario sul rock degli anni ’90 aprendo ad una nuova era dell’alternative. Un album di rock puro con tante di quelle idee che ancora non si sono esaurite all’ascolto. Tre anni dopo “Thirteenth Step” aveva già provveduto a spiazzare l’ascoltatore con virate occasionali alla ricerca sonora e psichedelica, un sound poi totalmente metamorfizzato nello strano album di cover “Emotive” del 2005 dove le canzoni di artisti come Elvis Costello, Depeche Mode e John Lennon (incredibile la loro interpretazione dark di “Imagine”) vengono stravolte e usate come rampa di lancio al loro nuovo suono che si esprime al massimo del suo stampo progressive in questo nuovo “Eat The Elephant”.
Lasciate ogni speranza o voi che attendete un suono aggressivo e heavy come ai loro esordi. A parte alcune scudisciate in “Talk Talk” e “The Doomed”, l’album è un immenso calderone di sensazioni, emozioni sussurrate, melodie stupende intessute dal timbro mellifluo di Maynard.
Solo la chitarra tipica di Billy Howerdel e il tocco naif di James Iha innalza il sound al di sopra di quello dei Puscifer. Le canzoni degli A Perfect Circle sono dei monumenti alla bellezza soprattutto in episodi come la stupenda “Disillusioned”, la ballata “Delicious” e la grottesca citazione a Guida Galattica Per Autostoppisti di “So Long, And Thank You For The Fish”.
Meno immediato rispetto agli esordi, “Eat The Elephant” ha comunque un anima molto potente che scorre sotto le sue atmosfere malinconiche e le sue melodie penetrano pesantemente sotto pelle, avvolgendosi ai nostri nervi soprattutto grazie all’incredibile interpretazione di Maynard. “By And Down The River” ne è un perfetto esempio, si insinua lenta e inesorabile nella nostra mente, canzone che forse più di tutte ricorda i suoni di “Thirteenth Step”. Le sorprese non sono finite perché un inizio da rave party introduce il pezzo “Hourglass”, dove Maynard rappa con voce distorta offrendo l’episodio più ruvido e stravagante. Particolare anche la chiusura affidata a “Get The Lead Out” che prima di livellarsi al tono generale si presenta con un incedere quasi jazzistico. Eat The Elephant è un album profondo e avvolgente, che riesce nell’impresa di disattendere le aspettative senza offendere e senza deludere.