Manca un mesetto alla fine dell’estate, quindi c’è ancora tempo per sentirsi della musica buona. Qui sotto un po’ di selezione dal magnifico mondo hard & heavy / alternative / extreme / sta fungia, per aiutarvi a diventare persone migliori.
10 Years – From Birth To Burial – Settimo album per una band che non ha più bisogno di presentazioni. La svolta da indipendentisti di Minus The Machine ha permesso ai 10 Years di reinventarsi evitando lo scioglimento prematuro. La proposta è sempre quella con poche divagazioni sul tema, alternative e qualche sguardo all’impatto dell’ultimo Chevelle per una produzione leggermente più grezza (e un pezzo come Triggers and Tripwires ne guadagna) rispetto ai loro standard. Niente di nuovo sotto il sole (incluso il finale oscuro e atmosferico con Moisture Residue) ma i fan apprezzeranno.
Counterparts – Tragedy Will Find Us – Non cedono di un millimetro Murphy e Doreen, pubblicando il quarto disco in soli cinque anni. Chiamatelo melodic-core piuttosto che post hardcore, ciò che la band propone affonda le radici negli anni duemila, alternandosi benissimo tra assalti frontali rapidissimi e momenti più sofferti. Qualche breakdown e la giusta dose di melodie per un prodotto che farà felici i fan e potrà attirare nuovi e curiosi ascoltatori. Solidissimi.
Dagoba – Tales of the Black Dawn – Ci domandavamo un po’ tutti (tutti…per modo di dire) che ne fosse stato dei Dagoba. Band che, quasi dieci anni fa convinse molti metalloni a seguirli in virtù di un dischello (What Hell Is About se volete sentirvelo in streaming) che fece sobbalzare sulla sedia diverse persone. Da allora però il grande salto non è mai stato compiuto. Ci provano adesso, inserendo versi belli puliti e impastoni da metalcore, con tonnellate di groove scippato agli altrettanti decaduti Chimaira (Half Damn Life poteva essere una b-side del loro Resurrection) dei tempi d’oro. Risultato? Album carino ma che difficilmente permetterà loro sfracelli nel lungo periodo.
Evil Invaders – Pulses Of Pleasure – Nella perfetta tradizione revival, abbiamo anche i nostalgici dello speed, della new wave britannica e di quel thrash di serie C che mai è emerso presso le grandi masse (chissà perché). Scherzi a parte, gli Evil Invaders sono citati (insieme ai Ranger, che però han qualcosa in più) da metalloni quarantenni con piazza e chiodo con le toppe degli Abattoir come salvatori dell’umanità. Fanno il loro, ma il tutto è troppo derivativo e tributo al passato per risultare interessante per più di venti minuti.
Hyades – The Wolves Are Getting Hungry – Tanto di cappello per i ragazzi di Varese, ancora attivi e carichi a pallettoni. Il piglio Exodus-iano è evidente, ugualmente la rabbia e la voglia di travolgere a bomba qualsiasi cosa si muove. Thrash datato ma suonato con convinzione e cuore. Consigliatissimo senza bisogno di spendere ulteriori parole.
Michael Schenker’s Temple Of Rock – Spirit On A Mission – L’ennesima giovinezza per uno dei chitarristi rock più importanti. Michael torna letteralmente on fire con il nuovo album suonato insieme ai vecchi soci degli Scorpions Rarebell e Buchholz. Ispiratissimo hard & heavy, spesso veloce e dannatamente immediato. Avrebbe meritato una rece singola se non fossi un coglione e mi fossi svegliato in tempo per quando è stato pubblicato. Bellissimo.
Miss May I – Deathless – Avanti a testa bassa. I Miss May I arrivano al quinto disco, dopo aver buttato già fuori lo scorso anno Rise Of The Lion. Fanno metalcore ultra abusato e ultra conosciuto. Ma è tutto formalmente troppo perfetto per buttarli dalla torre. Quindi questo è un altro album onesto, tirato e pestato, con le gang vocals e i ritornelli puliti che chiunque si aspetta da una band simile. Molto spesso la normalità è anche piacevole e adatta al momento. Specialmente se il pubblico di riferimento sono i teenager e gli studenti liceali. C’è molto di peggio in giro.
No Return – Fearless Walk to Rise – C’è ancora chi si gasa come una mina ad ascoltare un pezzo come Stronger Than Ever. E se ne sbatte anche le palle se il melodeath è oramai fuori tempo massimo. Credo che i No Return pensino la stessa cosa e se la godano di brutto nel fare album tutti uguali uno all’altro. D’altra parte un po’ di swedish sound revival non ha mai ammazzato nessuno no? Defenders, in un certo senso!
Of Mice & Men – Restoring Force: Full Circle – In verità non c’è molto di nuovo da dire sugli Of Mice & Men. Se non che ripubblicare un album di successo uscito l’anno scorso, significa che stai accarezzando platee sempre maggiori. E in questo senso il tour con i Linkin Park li ha aiutati non poco. Vedremo come evolverà prossimamente la loro formula, di certo il disco che verrà potrà dire molto sulle prospettive internazionali dei ragazzi. Questo prodotto comunque è solo per collezionisti. O per chi non abbia alcuna idea su cosa suonino i Nostri.
Ranger – Where Evil Dwells – Finire su Pitchfork e non esser presi per il culo è già un segnale. Speed metal anni ottanta prodotto volutamente da schifo con tanto di cantato stridulo e stra-fastidioso. Aperture Maiden-iane impreviste e un generico afflato raw thrash tedesco per una band che è già culto underground di thrasher nostalgici. Quanto poi ci siano o ci facciano è affar loro. Resta il fatto che Where Evil Dwells un ascolto lo merita. Ed è pure probabile che poi, di ascolti, ce ne scappino altri. Retrò-mania.
Raven – ExtermiNation – I Raven fanno parte della parte buona della New Wave Of British Heavy Metal. Non hanno mai sfondato, ma nemmeno la metà di quanto hanno fatto i Saxon. Eppure sono ancora qui a sparare le proprie cartucce. Che il loro pubblico oramai sia fatto solo di nostalgici e intenditori della scena è un dato di fatto. Detto questo, ExtermiNation è un (buon) album tutto cuore ed heavy music. Certamente fuori tempo massimo. Ma chissenefrega. Rispetto.
Shattered Sun – Hope Within Hatred – Chuck Billy dei Testament se li è presi sotto braccio. Solo per questo, il disco degli Shattered Sun va ascoltato. Sebbene il mischione a livello di sound possa qualche dubbio sulla buona fede del progetto possa lasciarlo (un po’ di riffoni heavy ribassati, un po’ di metalcore classico, melodie pulite, gang vocals, accelerazioni), il risultato complessivo di Hope Within Hatred è più che sufficiente per tenere in considerazione i ragazzoni texani.
Soulfly – Archangel – Decimo (decimo!!!) album per i Soulfly. Max Cavalera si conferma ultra-prolifico nel buttar fuori nuova musica con moniker differenti. Tuttavia gli ultimi due strilli degni di nota dei SF sono stati Dark Ages (2005) e Conquer (2008). Archangel, a dire il vero, è uno dei lavori più particolari e atmosferici mai composti dal gruppo. Non è il solito platter sparato a mille, tanto meno una raccolta di riff casuali. Non è ovviamente una pietra miliare, ma è un tentativo apprezzabile di fare qualcosa di diverso dal solito (cfr. Bethlehem’s Blood e la groovy Ishtar Rising). Rimangono ovviamente i tratti caratteristici di quella che è sempre più simile a una family-band (vedere l’ultimo pezzo oltretutto), visto che il figlio maggiore di Max è dietro la batteria oramai in pianta stabile. Marc Rizzo inoltre, chitarrista eccezionale, è oramai nel gruppo da dodici anni.
We Butter The Bread With Butter – Wieder Geil! – Questi son talmente fuori che non parlarne sarebbe sbagliato. La sensazione è che i tedesconi facciano completamente tutto a caso, buttando in campo metalcore, elettronica, dance e rumorismo assortiti senza alcuna logica. La cosa potrebbe anche essere figa, a patto di non essere ripetuta senza soluzione di continuità. Dateci un ascolto comunque, non è detto che il non-sense vi possa in fondo affascinare (lo stacco gabber dell’opener – 1:49 qui sotto – in effetti spacca).
We Came As Romans – We Came As Romans – Un’altra band –core che prova la scalata alle chart alternative. Il sound metalcore degli esordi si spegne sotto dosi di chorus catchy (Memories) ed elettronica (Who Will Pray?). Una strada battutissima, specie dopo che tutti hanno visto dove son arrivati i Bring Me The Horizon. Il problema è che il disco a lungo andare risulta eccessivamente annacquato (Savior Of The Week è imbarazzante), e quando provano a rialzare i giri (Tear It Down), i ragazzi suonano troppo scontati e forzati. Brutta sorpresa, a meno che cerchiate qualcosa di moooolto disimpegnato che ogni tanto pesti.
(Partorito da Jacopo Casati, Paolo Sisa, Piero Lisergi, Filippo Asta)