Cinque anni, un lungo periodo di autoanalisi, presa di coscienza, esplorazione umana e artistica, ma finalmente “Hunter” è nelle nostre mani, nelle nostre orecchie, più giù e oltre, nel profondo delle viscere, dove solo un disco così, nato dall’urgenza di un’espressione libera, audace e consapevole può fare.
Lo ha raccontato con chiarezza Anna Calvi cosa queste dieci canzoni rappresentino per lei: “Voglio esplorare il modo in cui essere qualcos’altro da quello al quale sono stata assegnata, voglio esplorare una sessualità più sovversiva, che vada oltre a ciò che ci si aspetta da una donna nella nostra società patriarcale ed etero normativa. Voglio ripetere le parole “ragazza ragazzo, donna uomo” a oltranza, per trovare il limite di queste parole contro la vastità dell’esperienza umana. Sono affamata di esperienze. A volte le cose sembrano chiare, altre volte mi sento persa. Mi sento forte e vulnerabile, indosso il mio corpo e la mia arte come un’armatura, ma so anche che essere sincera con me stessa significa essere aperti a lasciarsi ferire. L’intento di questo disco è quello di essere primitivo e bellissimo, vulnerabile e forte, il cacciatore e la preda”.
Lo ha regalato al mondo con una spinta amorevole e l’intimo desiderio che la sua essenza non venisse fraintesa. Con la stessa umiltà e lo stesso sfacciato coraggio, con cui è andata a cercarne forma e sostanza nelle profondità siderali di una creatività capace di sorprendere sempre, svelando disco dopo disco sfaccettature inedite e nuove conquiste tecnico espressive, ce l’ha presentato dal vivo prima che avesse avuto la possibilità di scavarsi una via verso i nostri cuori.
Ora è qui e l’evidenza dice che questo terzo disco della cantautrice e chitarrista londinese di padre italiano è la miglior prova del suo genio: dieci canzoni, prodotte con Nick Launay (Nick Cave, Grinderman), per un album in cui tutto è essenziale e necessario. Abbandonati certi manierismi e la poetica dei forti contrasti e della giustapposizione di atmosfere agli antipodi dei primi due dischi, Anna Calvi ha lavorato intensamente sulla scrittura, sull’estensione verso l’alto di un range vocale da sempre caratterizzato da una certa confidenza con il registro più basso e un vibrato qui decisamente meno abusato. Un’operazione ora muscolare, ora di cesello che ha portato anche a un nuovo equilibrio nell’equazione voce e chitarra e nella presenza della chitarra all’interno degli arrangiamenti. Contenuto l’approccio strabordante ed esplosivo alle sei corde dei primi due dischi, in “Hunter” ogni parte di chitarra ha un intento espressivo preciso e si incastona perfettamente all’interno di uno scenario timbrico magistralmente calibrato.
Nello stesso modo è ben studiata la tracklist di questo lavoro, diviso a mo’ di vinile in un lato A di cinque canzoni e un lato B formato da altrettante tracce. L’apertura affidata al dittico “As a man” e “Hunter” è manifesto tematico e sonoro dell’intero album. Il primo brano appoggia su un sound da theme song di “James Bond” la tematica della libertà e della ricchezza, che potrebbe nascere dall’abbattimento di confini di genere antitetici e stringenti; il secondo invece affronta il tema dell’esplorazione del piacere, prendendoti per mano, da buona title track, e trascinandoti delicatamente nelle atmosfere del disco.
Il vero trampolino di lancio verso il cuore pulsante dell’album è il singolo, “Don’t Beat The Girl Out Of My Boy”. Già un classico, il pezzo ha tutti gli elementi al posto giusto: il beat è coinvolgente, come la melodia del ritornello, tra i più intriganti nel catalogo della Calvi, e, sorpresa, è la voce, questa volta, a scatenare quel brivido lungo la schiena, che ci si aspetterebbe affidato alla chitarra nel bridge.
Con “Indies or Paradise” il disco decolla. “La tua bellezza verrà a salvarmi”, canta Anna e da qui in avanti l’ascolto sarà un viaggio edonistico tra i suoni potenti, per certi versi istintivi, quasi ancestrali di un album che vale tutte le ore, i minuti e i secondi di questi cinque lunghi anni di attesa. Da non dimenticare c’è che Anna Calvi è prima di tutto una strumentista, una chitarrista e il riff di questa quarta traccia non può non farvi godere forte. È nel cuore di “Hunter”, però, che troviamo una perla, un frutto maturo che sprigiona tutti i sapori a cui l’artista ci ha abituati in questi sette anni: ci sono le chitarre arpeggiate alla “Rider To the Sea”, c’è l’afflato orchestrale già sperimentato negli arrangiamenti di “One Breath” e c’è un cantato che convince come mai prima. “Swimming Pool” è la chiave di volta del disco e un brano indimenticabile.
“Alpha” apre la seconda parte di “Hunter”. Anche se per sonorità e atmosfere richiama l’opening track “As a Man”, con questo pezzo l’artista rilancia, alzando la posta in gioco e osando sotto tutti i profili. Da consumare con cautela, crea dipendenza. Si potrebbe dire lo stesso di “Chain”, sicuramente tra i brani più belli del disco. Gli ingredienti dell’arte di Anna Calvi sono dosati ed espressi qui al meglio. La talentuosa cantautrice di Twickenham è abilissima nel camminare su confini assai sottili, senza perdere mai il baricentro fissato tra una scrittura e un chitarrismo solidi e potenti come mai prima e una vocalità che senza snaturarsi esplora nuove altezze e timbriche inedite.
A seguire anche “Wish” regala momenti di pura grazia. Con un tiro glorioso nella strofa, il chorus che svapora in atmosfere quasi lisergiche e un solo di chitarra massiccio, il pezzo si farà amare alla follia in versione live. C’è da prendere una boccata d’aria, così “Away” gioca a togliere: voce e chitarra, appena sporcati dopo il primo ritornello da un tappeto di tastiere. È il brano più intimo del disco, un sublime ultimo bacio, che spalanca le porte dell’“Eden”, pezzo di chiusura splendidamente lirico, conferma di un talento compositivo capace di agitare emozioni sottili e degno epilogo di un disco che ci racconta di un artista meticolosa, in grado di affinare mezzi già potenti per esprimere la propria libertà nella musica e nelle parole di una vita da vivere e raccontare fino in fondo, con audacia.