La storia insegna come raramente dietro il termine “supergruppo” si celino progetti seri o perlomeno impregnati dello spirito vero e sincero del rock. L’ombra dell’operazione commerciale aleggia sempre e abbiamo imparato ad accettarlo. In fondo sono quasi sempre delle figate quindi, chissenefrega?
Il caso degli Art of Anarchy ha aumentato ancor più il più torbido annoverando nella line up già formata da membri di Disturbed e dei nuovi Guns & Roses il controverso frontman Scott Weiland, che ha negato di fare parte stabile della band, sbugiardando le dichiarazioni ufficiali degli altri musicisti.
Scott è impegnato anima e cuore con il suo progetto solista insieme ai Wildabouts, con relativo tour e impianto promozionale che sta andando avanti in maniera alquanto turbolenta, in linea con il personaggio. Cosa si cela quindi dietro questa presa di posizione di Weiland? Qui si va per supposizioni, ma è probabile che voglia proteggere il suo progetto solista da questa bomba.
L’album omonimo degli Art of Anarchy è sorprendente sotto ogni punto di vista. Rock compatto e potente in tutte le tracce, ritmi forsennati, melodie accattivanti che evocano le atmosfere cupe di fine anni ’90. Lo stesso Scott abbandona i ritmi patinati che lo contraddistinguono ormai da tempo e torna a sfoderare una potenza vocale quasi dimenticata e fa rivivere a tratti i fasti di “Core” degli Stone Temple Pilots, unita ad una sensibilità espressiva e un talento compositivo che gli è unanimemente riconosciuto.
Il singolo “Till the Dust as Gone” è un surrogato di melodie post-Grunge, cambi di ritmo che sfociano in un assolo molto bello e addirittura in un crescendo da doppio pedale, con una linea vocale che difficilmente si schioderà dalla mente. Commercialmente perfetto. “Applouse” è un pezzo potentissimo, “Get on Down” una ballata con i muscoli, dove Weiland dà il meglio di sé rievocando i momenti migliori dell’altro suo supergruppo in carriera, i Velvet Revolver. Il pezzo di chiusura, “The Drift”, farà infine la felicità di tutti i nostalgici degli anni ’90.
Scott Weiland conferma di essere un artista impossibile da imbrigliare, come un cowboy in un film che a fine avventura si allontana solitario al tramontare del sole, ci lascia questa perla di hard rock che a quanto pare non avrà seguito, promozione e tour, se non con un altro cantante. Ma non sarebbe la stessa cosa, ed è un peccato.