I Baroness danno i colori. Dopo gli album rosso (“Red Album”, 2007), blu (“Blue Record”, 2009), giallo e verde (“Yellow & Green”, 2012), ora tocca al viola. “Purple” era l’album forse più atteso dai fan della band: si voleva vedere se avrebbero continuato a stupire o se si sarebbero seduti sugli allori come mostrato da alcuni cali di tono dell’ultimo lavoro. La band risponde con un disco talmente ricco e variegato da zittire ogni critica, buttando sul fuoco una ricchezza di elementi e sfumature da tenere occupati sia i fan che i detrattori per parecchio tempo. Spaziano dalle melodie più accattivanti al doom metal, riducendo all’osso le loro velleità prog e imbastendo una serie di pezzi piacevoli che raramente sfondano il quinto minuto di durata. È con la produzione e le idee che creano un mondo senza pareti e costrizioni, e non con la lunghezza.
Il primo brano “Morningstar” è veloce e potente e spiazza per la sua immediatezza, portando l’ascoltatore a “Shock Me”, alla sua melodia suadente e alla vocalità, in questo lavoro più curata che mai. “Kerosene” ha un ritmo veloce e richiama lo stile dei Mastodon, con un ritornello molto incisivo. Atmosfere che richiamano la vena prog della band fanno da anticamera alla bella “Chlorine & Wine”, che si presenta come ballata semi acustica per poi mollare gli ormeggi e librarsi nei territori sludge, pur mantenendo una veste melodica sempre molto incisiva e piacevole. “Desperation Burns” è forse il pezzo che racchiude tutti gli elementi vincenti dei Baroness: potente e melodica, tecnicamente eccellente ma scorrevole e incisiva. Le sorprese non sono finite, perché a fine album arriva una ballata, “If I Have to Wake Up (Would You Stop the Rain?)”, emozionante e mai melensa.
I Baroness tranquillizzano i propri fan e chiariscono di avere ancora tantissime idee e il talento per realizzarle al meglio.