Forse il 1994 viene ricordato per i Mondiali, il rigore di Baggio, The Mask e Forrest Gump, ma io proprio non ce la faccio ad identificarlo così. Perché delle cronache del 1994 io porto nel cuore il paradosso di un ragazzo che vinceva il Grammy per essere un perdente. E, da quel momento, Beck non sembra essere invecchiato.
L’eterno ventenne gli anni che ha li dimostra solo nell’esperienza che snocciola in questo suo ultimo lavoro, “Morning Phase”, uscito sotto Capitol Records all’inizio del 2014. Nato come seguito spirituale di “Sea Change”, LP datato 2002, l’album avvolge nella propria intimità folk tutta archi e chitarre, effettate o meno.
Il blocco compatto in cui è confezionato si apre con “Cycle”, ouverture orchestrale che introduce in un mondo fatto di risvegli lenti, passeggiate pacifiche e null’altro che un’eterna mattina pigra. Tutto, dal principio alla fine, è una carezza alle orecchie e Beck fa stringere il cuore nella bontà armonica della sua voce che, timida, entra solo dal secondo pezzo. “Morning”, da cui metà del titolo dell’album, è esattamente ciò che descrive: la speranza di un futuro nuovo e migliore al risveglio, con un ritornello che nel suo “Can We Start All Over Again This Morning” ci lascia sospesi in questa aspettativa suadente.
Il vivo del folk si tocca con i brani successivi, il singolo “Heart Is A Drum” e “Blue Moon”, tripudi di strumenti a corde accomunati dalla stessa vena solare e mai eccessivamente smielata. Fra di loro “Say Goodbye” è una sapiente parentesi tendente al blues, piazzata dove necessario per evitare che l’orecchio noti le poche ridondanze comuni alla musica folkloristica in generale. Poca roba, se confrontato ai colpi di classe che Beck ci regala vocalmente.
L’inaspettato si apre però con due pezzi in cui la voce è in secondo piano o addirittura assente, talmente ben orchestrati (e orchestrali) che da soli farebbero la colonna sonora di un film hollywoodiano: “Wave” e “Phase”, da cui la seconda metà del nome dell’album, ricreano ambienti da kolossal con le stesse poche note, lanciandoci in un mondo solitario ma accogliente, fatto apposta per ogni ascoltatore.
Nella triade finale dell’LP spiccano in particolar modo “Turn Away”, con il suo retrogusto di déjà vu che non annoia mai (chi ha detto Bon Iver?) e “Waking Light”, fatta con il giusto grado di noise che lascia storditi come una luce al risveglio.
Ne risulta un insieme assolutamente omogeneo, in cui anche le sbavature sono necessarie a dare forma ad una splendida “fase mattutina”, sia per Beck che per noi.
[youtube _6Zp84XH6Eo nolink]