Big Wreck – Grace Street

Vi racconterò la storia dei Big Wreck e del loro ultimo album, “Grace Street“, il loro capolavoro definitivo, il motivo per cui sono sconosciuti ai più. È colpa di questo album, tutta colpa sua, o merito, a seconda di come la si voglia vedere. “Grace Street” è grandioso, maestoso, colmo di emozioni e tecnica, energia e virtuosismi. Un album lunghissimo con infinite stanze, viali spaziosi a più corsie e vicoli bui illuminati da lucciole. Per capire come si è arrivati a questa gemma esclusiva, per pochi, è necessario capire qualcosa di più dei Big Wreck e del loro carismatico leader, Ian Thornley.

Il Canada ha lanciato in giro per il mondo gruppi come Nickelback e Avril Lavigne, mentre si tiene per se i Big Wreck, che non sono mai riusciti e forse mai hanno veramente voluto sfondare al di fuori dei confini canadesi, mantenendo negli anni intatte tutte le caratteristiche del loro rock raffinato di stampo led zeppeliniano, pur rientrando nella matrice di quel rock nostalgico anni ’90, fin dal disco d’esordio “In Loving Memory” risalente al lontano 1997.
Ian Thornley è uno dei chitarristi più apprezzati dai colleghi (Myles Kennedy è un suo fan dichiarato, collaborando in un pezzo del gruppo intitolato “Braktrough” nell’album “The Pleasure And The Greed” del 2001) con uno stile virtuoso e melodico, sia nell’elettrico che nell’acustico, disponendo in più di un timbro e un’estensione vocale che lo avvicina parecchio alla divinità grunge Chris Cornell versione giovanile, aggiungendo come tocco personale una venatura naif nello stile. Questo connubio e un innegabile talento nella composizione ha dato vita a decine di pezzi stupendi, sia nei Big Wreck che nel gruppo spin off, chiamato Thornley, che nel suo album solista “Secrets” del 2015.

Ora il quinto album dei Big Wreck, “Grace Street”, di larga grazia come anticipato dal titolo, si introduce nel quadro contestuale musicale del gruppo, ma aumentando la verve dimostrando di essere molto più ispirati che nel precedente “Ghost”, come mostra immediatamente l’apertura “It Comes As No Surprise”, una cavalcata emozionante e drammatica, dove gli strumenti esplodono con la voce potente e rovente di Thornley. La frizzante “One Good Piece Of Me” mette in luce un altro dei tanti talenti del gruppo, la capacità di aumentare il ritmo e alleggerire il marchio drammatico e maestoso di molti loro pezzi. Qui sono veloci, melodici, marciano un metro da terra a velocità sostenuta e noi con loro.

Con “Tomorrow Down” l’album mostra il suo vero potenziale, una cosa difficilmente riscontrabile nel rock contemporaneo. Un riff controtempo, zeppeliniano come molte stanze di “Grace Street”, ci porta galoppanti verso momenti di delizia melodica, dove la marcia si rallenta di botto e riparte, sbatacchiandoci felici qua e là dentro un labirinto di meraviglia musicale. Fa capolino del raffinato funky in “You Don’t Even Know” e il suo refrain orecchiabile, altra caratteristica in cui i Wreck sono maestri, così come nel rallentare in ballate emozionanti, dove le luci si attenuano, e Thornley ci dimostra quanto versatile e sensibile sia: “Useless” è una ballata meravigliosa. “Speedy Recovery” ci mostra in sette minuti come la parte chitarristica non sia per nulla marginale, ma si amalgami in maniera superba al pezzo innalzando il livello artistico musicale senza intaccare l’immediatezza e il piacere indotto, persino nel pezzo “Skybank Marchè”, interamente strumentale ma stupendo.

“Motionless” è lieve come una sensazione che rimane ad aleggiare sopra di noi, minimale negli strumenti, in modo da evidenziare la prova di Ian in un cantato intimo e avvolgente. “Diggin In” è un tributo ai Led Zeppelin che più non si può, inevitabile pensarlo, inevitabile farsi conquistare dal suo ritmo così simile a quello di “Houses Of The Holy”, con la solita stanza su cui fermare a rimirare i quadri bellissimi, per poi essere subito scalciati nel rock classico e energico di meraviglioso sapore settantiano. Gli Zeppelin vengono continuamente tributati, anche nella folk “The Receiving End”, voce e dolce mandolino per una perla melodica, con slide guitar come preziosismo ulteriore. “Floodgates” esplode in tutte le caratteristiche dei Big Wreck e non a caso si attesta come uno dei migliori pezzi della loro intera produzione, bella e potente, precedendo “The Abortist” che non scende di nessun gradino musicale.

“Grace Street” si chiude con “All My Fears On You”, una dichiarazione d’amore al contrario, una canzone lieve e raffinata come tutto l’album, che non manca di esplodere in momenti di drammaticità studiata, dove la distorsione elettrica veste gli acuti di Thornley, mentre l’assolo ci culla in una melodia stupenda.

I Big Wreck con “Grace Street” regalano la loro opera migliore, che racchiude tutti i loro momenti migliori prodotti nel loro momento di maggior ispirazione e maturità, in questo scrigno di prodigi accessibile solo a chi lo vuole veramente.