1
Billy Talent – Afraid of Heights
“Afraid of Heights” è il sesto lavoro in studio di Benjamin Kowalewicz (anzi, il quinto, se escludiamo il primo album registrato sotto il nome di Pezz). I nostri eroi sono invecchiati con il loro seguito ovviamente, mettendo da parte la rabbia adolescenziale e abbandonandosi maggiormente all’introspezione (vedi la title track). Rimane sempre e comunque una sana voglia di divertirsi (vedi “Louder than the DJ”): vecchi sì, ma ben lungi dall’essere defunti.
2
The Decoy – Avalon
Il debutto discografico dei gallesi The Decoy è nientemeno che un’iniezione di ritmo e buon umore. Il primo nome che “Avalon” sussurra all’orecchio dell’ascoltatore è Biffy Clyro, ma la band si spinge oltre la mera imitazione. Fin dalla opener “Black Mountain Radio” è evidente l’ottima mano dei The Decoy e l’amore per i twist improvvisi, anche all’interno del medesimo brano. Ma è “Cold” la vera bomba, un gioiellino alt-rock perfettamente confezionato, che aspetta solo di essere scartato. E il bello è che ogni canzone di “Avalon” è diversa dall’altra, pur mantenendo il mood suggerito fin dalle prime note.
3
Meshiaak – Alliance Of Thieves
Con nomi del calibro di Jon Dette, Danny Camilleri e Dean Wells è molto difficile bucare. E infatti “Alliance of Thieves” non è niente male come esordio per il supergruppo. Ci pensa la massiccia carica sferragliante di “Chronicles of the Dead” a rompere il ghiaccio tra riff elaborati e ritornelli accattivanti. Insomma, una sorta di paradiso per ogni headbanger che si rispetti. Per non parlare dell’intensa “Death of an Anthem” che in chiusura ci sta da dio, con quella chitarra acustica.
4
The Depression Sessions – Thy Art Is Murder, The Acacia Strain, Fit For An Autopsy
Questo split EP è una vera chicca per chi soffre di tremende e frequenti crisi d’astinenza da deathcore: tre tracce inedite e tre cover per tre band che condividono tour, stile e anche pensieri cupi a quanto pare. Scioglilingua a parte, “The Depression Sessions” offre uno spaccato dello stato dell’arte attuale nel deathcore. Che, eccezion fatta per una manciata di band più coraggiose (non volevo fare nomi ma se lo meritano, quindi Carnifex e Whitechapel), non è nient’altro che un panorama abbastanza desolante, non sgradevole ecco, ma grigio, piatto. Se l’obiettivo di questo EP era quello di deprimerci, come suggerisce il titolo stesso, ci è riuscito perfettamente.
5
The Color Morale – Desolate Divine
I The Color Morale arrivano al quinto full length con una grandissima voglia di rinnovarsi, il cui emblema sono il frontman Garret Rapp e gli esperimenti sulla sua estensione vocale. Anche qui, per la gioia di Leto e soci, serpeggia il virus dei 30 Seconds To Mars. Il che non deve essere per forza un male quando si tratta di coretti e pezzi al limite del pop rock (come la opener “Lonesome Soul”), ma il rischio del cosiddetto hopecore (metalcore leggero e speranzoso in un domani migliore insieme al redentore…o qualcosa del genere) è quello di risultare troppo ripetitivo e semplicistico, facendosi facilmente spazzare via da acts più complessi…