The Heavy Countdown #62: Boston Manor, Omnium Gatherum, Skyharbor, Pig Destroyer

Boston Manor – Welcome To The Neighbourhood
Già con “Be Nothing”, primo full-length pubblicato un paio di anni fa, i Boston Manor avevano iniziato con estrema cautela a scucirsi di dosso l’etichetta pop punk che era stata loro affibbiata con il precedente EP “Here Now”. Ora, in “Welcome To The Neighbourhood”, di pop punk non abbiamo praticamente più nulla. Il secondo lavoro dei BM è cupo, pesante e molto, ma molto incazzato, pur rimanendo altrettanto orecchiabile e catchy. Non mi è solo ben chiara la chiusura in acustico con “The Day I Ruined Your Life”, dato il contesto del disco.

Thou – Magus
Dopo tre EP, pubblicati tutti nell’arco degli ultimi mesi come ideale preludio a qualcosa di ancora più sostanzioso, i Thou mantengono la parola data pubblicando il loro quinto, lunghissimo album. Settantacinque minuti che trasudano dolore a ogni istante, difficili da digerire a un ascolto distratto e superficiale. Con “Magus”, i Thou si riconfermano tra le band più cangianti del panorama sludge/doom (senza dimenticare le incursioni nel grunge alla Alice In Chains, vedi “Invocation of Disgust”).

Omnium Gatherum – The Burning Cold
Gli Omnium Gatherum, rispetto a molti conterranei (tipo i Children Of Bodom), sono sempre stati sottovalutati. Ma “The Burning Cold”, ottavo full-length per il sestetto finlandese, è la prova vivente che gli OG meritano molta più attenzione di quanta ne abbiano mai ricevuta in passato. Melodie catchy, atmosfere accattivanti e soprattutto canzoni più brevi e dirette rispetto al passato, fanno di questa produzione un’opera accessibile anche a chi non mastica pane e melodeath ogni santo giorno.

The Pineapple Thief – Dissolution
Ricordo ancora con piacere “Your Wilderness”, disco dei Pineapple Thief uscito nel 2016. La pubblicazione praticamente a sorpresa di “Dissolution” è stata quindi una bellissima scoperta. Rispetto al precedente lavoro, i toni del dodicesimo album dei PT (e secondo in carriera con Gavin Harrison dei Porcupine Tree alle pelli) sono molto più cupi e ombrosi, rispecchiandosi talvolta in un sound che strizza entrambi gli occhi al metal, se non addirittura al djent (“All That You’ve Got”). I ladri di ananas hanno ancora molto da dire nel prog rock.

Circles – The Last One
Il nome dei Circles è sempre stato accostato a quello dei Periphery e dei Tesseract quando si parla di band rappresentative della scena djent. Oggi, dopo una lunga pausa di meditazione e drastici cambi in line-up, gli australiani continuano il loro percorso nel genere con “The Last One”, viaggiando parallelamente alla formazione britannica sopracitata, ma al tempo stesso sterzando decisamente verso i sentieri alt-prog già tracciati dai conterranei Karnivool o dai Caligula’s Horse. Speriamo solo non ci facciano aspettare altri cinque anni per un nuovo disco.

Skyharbor – Sunshine Dust
“Sunshine Dust” è un lavoro di transizione. Nei quattro anni successivi all’acclamato “Guiding Lights”, gli Skyharbor hanno visto importanti cambi in formazione. Come sappiamo, Daniel Tompkins è tornato fisso nei Tesseract per essere rimpiazzato dal collega Eric Emery, e anche il batterista Anup Sastry ha preso un’altra strada, sostituito da Aditya Ashok. Nonostante questi scossoni e una gestazione piuttosto travagliata, il nuovo album del progetto transoceanico guidato da Keshav Dhar continua sulla via tracciata dall’opera precedente, proponendo un disco (a tratti troppo ridondante) di buon melodic/atmospheric prog metal, con qualche sporadica sfuriata (“Dissent”), ma senza i brividi di “Guiding Lights”.

KEN Mode – Loved
“Loved” è un album disturbato e disturbante proprio come la figura inquietante e minacciosa in copertina. I ‘Kill Everyone Now’ Mode dopo due dischi lodevoli (“Venerable”, 2011 e “Entrench”, 2013) e un passo falso (“Success”, 2015) con questa nuova produzione riaggiustano il tiro, pur senza superarsi. Hardcore, sludge e noise, in un mix letale che spesso e volentieri lascia dietro di sé un alone di disagio e malessere che rimane ancorato alle orecchie anche molto tempo dopo l’ascolto.

Pig Destroyer – Head Cage
Sesto e nuovo lavoro a sei anni di distanza da “Book Burner” per i Pig Destroyer, che di certo non sono rimasti con le mani in mano per tutto questo tempo (vedi l’attività parallela del chitarrista Scott Hull con gli Agoraphobic Nosebleed). I Nostri infatti sono cresciuti un bel po’, tanto che “Head Cage” può tranquillamente essere definito il disco più ambizioso della formazione, arricchendo il consueto grindcore di sludge, doom, death metal e strutture progressive. Ci sta che con tutti questi stimoli venga a mancare una direzione univoca, ma ai fan dei Pig Destroyer penso proprio che stia bene così.

Villain Of The Story – Ashes
I cattivi della storia, per parafrasare il nome della band al secondo album in carriera con “Ashes”, sono scream e growl. Il nuovo lavoro della giovane formazione, almeno fino a “An Empty Room”, non convince fino in fondo, e ricorda tantissimo i primi lavori degli Asking Alexandria, ma senza il singolone catchy che ha fatto la fortuna degli inglesi. È appunto dal brano sopracitato che le urla scompaiono, lasciando spazio esclusivamente al cantato pulito, e come per magia, il disco inizia ad avere un’identità. Rimandati a settembre.