Brian Fallon – Painkillers

brian-fallon-painkillers-recensioneSpesso ci perdiamo nel consumo della musica, nelle classifiche, nel gossip sulle rockstar, nelle views su Youtube, e dimentichiamo cosa conta davvero ascoltando un disco: avere il cuore a mille, lo stomaco sottosopra e un groppo in gola. “Painkillers” mi ha dato tutto questo, e ci siamo appena conosciuti.

“Painkillers” mi ha colpito come un treno, nonostante conoscessi già una buona metà dei brani, è tutto quello che mi aspettavo da un disco targato Brian Fallon. E non è bello “perché ricorda Tom Petty” o perché è “springsteeniano”. No, senza negare le ottime influenze questo album è Brian Fallon, e nessun altro.

Musicalmente, sotto la guida del produttore Butch Walker “Painkillers” si allontana dai Gaslight Anthem (richiamati comunque dai vari whoa-oh-oh-oh dell’ottimistica “A Wonderful Life”) per una mancanza di sonorità punk rock, favorendo invece un sound caldo ed avvolgente composto principalmente di chitarre acustiche unite a cori, altre chitarre ed un’ottima sezione ritmica; il basso di Catherine Popper tocca il suo apice con l’intrigante giro di “Red Lights”, uno dei migliori pezzi tratti dalla breve esperienza con i Molly and the Zombies, dalla quale derivano seppur con alcune modifiche anche “Smoke” e “Long Drives”. Il mood generale si allontana da quello decisamente più scuro del primo side-project di Fallon insieme al chitarrista Ian Perkins, gli Horrible Crowes di “Elsie”, creando un’atmosfera più positiva anche rispetto all’ultimo album registrato con la band, “Get Hurt”.

“Nobody Wins” è una delle gemme di un album che non ha nessun riempitivo (anzi, viene il sospetto che qualsiasi brano avrebbe potuto essere ugualmente buono come singolo). È un racconto malinconico e toccante sull’andare avanti, dopo che “lei” se n’è andata, «morta per una canzone triste». “Steve McQueen” , presentata per la prima volta al pubblico dello storico Newport Folk Festival, è una ballad che si apre in fingerpicking, ricordando i rari brani acustici dei Gaslight Anthem come “National Anthem” e “Break Your Heart”. “Mojo Hand” spicca, come intuibile dal titolo, per il suo mid tempo dal sapore blues. “Rosemary” recupera la tradizione del Fallon d’annata di dare un nome ai personaggi dei suoi brani, scelta evocativa presumibilmente abbandonata per non cadere nella parodia di un archetipo – se dico “Mary” ci capiamo, vero?

L’album è molto coeso, e il lavoro di Walker (già produttore tra i tantissimi di Taylor Swift e dell’ultimo Frank Turner) è ottimo. “Painkillers” è ciò che era lecito aspettarsi dal songwriting di Fallon, e anche qualcosa in più. Le versioni acustiche dei brani dei Gaslight suonati per radio o a qualche festival, il Revival tour, l’esperienza con gli Horrible Crowes e i Molly and the Zombies, tutto questo negli anni aveva fatto capire che un disco del genere fosse nelle corde di Brian Fallon, e l’aspettativa non è stata delusa.

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