Bring Me The Horizon – That’s The Spirit

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Se “Sempiternal” aveva preannunciato l’inevitabile evoluzione dell’ex top act metalcore UK, nessuno avrebbe mai immaginato un tale allontanamento dalle radici che hanno portato il gruppo dello Yorkshire alla ribalta mondiale. E non è affatto un male quanto sta accadendo. Perché i Bring Me The Horizon sono definitivamente pronti a diventare dei leader di settore pazzeschi, accanto a pesi massimi come Linkin Park e, perché no, 30 Seconds To Mars. L’accantonamento totale dello screamo in favore di melodie e clean vocal spesso suadenti farà uscire di testa i fan della prima ora, mentre favorirà l’avvicinamento di un pubblico giovane, trasversale e amante dell’alternative rock moderno e immediato.

La produzione di “That’s The Spirit” è allucinante: limpida, impattante e levigata ad hoc per qualsiasi prodotto o genere. Mood elettro-alternative-rock, meno chitarre e più synths: quando però si accende l’ampli la botta è totale benché oramai le sei corde siano relegate ad accompagnare e non più riffare. Track by track? Track by track!

Doomed si apre con della mega elettronica simil trance e Oli che sussurra: tante si bagnano subito. I vecchi fan si sparano definitivamente. L’etichetta nel frattempo gode, perché questo è squisito pop moderno. Nel ritornello entra l’elettrica e Sykes inizia a sporcare leggermente le corde vocali (non lo farà quasi mai in tutto il platter). Il pezzo cresce coi secondi già nella seconda strofa.

Happy Song è tra quelle già conosciute: inizia come un pezzo dei P.O.D. del Duemila e poi caccia un riffone scippato a un act post grunge qualsiasi. Sykes dà (almeno qui, sul palco vedremo) prova di essere maturato in modo pauroso come capacità interpretativa.

Throne è altrettanto conosciuta e ci mostra i Linkin Me The Horizon nella veste che ci aspettavamo già dal post “Sempiternal”. Viaggia da dio.

True Friends potrebbe aver un fondo da 30 Seconds To Mars e un riff alla Bellamy. Il ritornello è assolutamente killer, il pezzo viaggia da dio come quello sopra.

Follow You ha un beat hip hop e un mood indie pop banalotto. Tuttavia dopo tre pezzi disumani possiamo tollerarne uno maggiormente pacchiano.

What You Need sa tantissimo di alternative anni Duemila, fino al ritornello sorretto dalle tastiere di Jordan (vero capo del gruppo, con buona pace di Oli che oramai ne è “solo” il volto). Si viaggia anche qui però.

Avalanche rilancia l’afflato Mars-iano e ci fa scoprire che ci sono ancora drum fill decenti nelle partiture di Nicholls. Ennesimo potenziale singolo con refrain killer e melodie irresistibili.

Run potrebbe essere degli Enter Shikari; è forse il brano più intimista fino a questo momento, nonostante l’incedere faccia pensare al contrario.

Drown la conoscevamo già e, paradossalmente, risulta quasi superflua in mezzo a un lotto di brani tanto convincente, benché sia stata riregistrata per l’occasione.

Blasphemy è tra le meno convincenti, o per lo meno è già sentita all’interno dello stesso platter. Skip.

Oh No infine viaggia su un ritmo da rock/dance estiva, che sarebbe stato bene in chiusura di un’edizione anni Novanta del Festivalbar. Sembra una bella trollata. Traetene le conclusioni che volete

Se quasi tutti i pezzi contenuti in tracklist sono potenziali singoli c’è poco da dire. In un’epoca in cui si ascoltano giusto un paio di brani a disco, i Bring Me The Horizon riescono a immettere sul mercato un album che farà sfracelli e segnerà almeno per i prossimi anni a venire fans e protagonisti del genere alternative. Tanto di cappello.

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