Non c’era più tempo per i Bullet For My Valentine. Venom era l’ultima prova d’appello per una band capace di gettare alle ortiche, con incredibile idiozia, un clamoroso successo ottenuto all’indomani del debutto The Poison, uscito (guarda a caso) dieci anni fa. Da allora un disco decente (Scream Aim Fire) e un lavoro con due/tre singoli passabili (Fever) e un cd che potrebbe anche non essere mai stato pubblicato (l’inconsistente Temper Temper di due anni fa).
Capaci di attirare frotte di giovanissimi, ragazzi frangiati e nuove leve del verbo metalcor-iano dal 2005 in poi, gli ex Jeff Killed John sono da sempre stati furbi nell’incrociare qualche growl, un tot riff di “ispirazione” Metallica e una tonnellata di melodie ai confini con l’emo, trovando la ricetta perfetta per sfondare nell’heavy da Kerrang e affini. Tuttavia il periodo di rendita era oramai esaurito. Il (grosso) seguito del gruppo era oramai stanco di aspettare della musica decente dai propri beniamini, la posizione dei BFMV nelle bill dei vari festival europei iniziava a scendere, gli scazzi che han portato negli ultimi tempi allo split con Jason James (qui sostituito da Jamie Mathias, che growla come il predecessore) e che han fatto dichiarare a Paget, chitarrista e metallaro del combo, quanto lo avesse fatto incazzare il fatto di essere stato escluso dalle sessioni di Temper Temper (una benedizione in realtà, a posteriori), erano tutti segnali di un capolinea praticamente inevitabile.
Il quinto album di Tuck e soci è, come prevedibile, una sequenza di pezzi tirati e pesanti, costruiti su riff e strutture chitarristiche suonate col volume costantemente oltre il livello di guardia, con un ritmo che quasi sempre rimane elevato. Per chi si è da sempre goduto l’orecchiabilità del debutto, Venom sarà una gradita sorpresa. Il quartetto è ancora capace di attingere a piene mani da quella formula che gli diede la celebrità anni or sono. Certo, la scelta di riavvolgere le lancette del tempo così indietro è palesemente forzata, ma era l’unica strada percorribile per una band che non ha mai fatto della creatività e della sperimentazione in fase di scrittura il proprio cruccio principale. No Way Out e Army Of Noise sono già due fucilate e classici dal vivo, Broken è se possibile ancora più incazzata e con un ritornellone di quelli che rimangono; la titletrack è forse l’episodio più scarso (in molti già parlano di Tears Don’t Fall 3), mentre Hell Or High Water e Pariah stupiscono per alcune complessità e cambi di tempo, risultando le due tracce migliori dell’intero platter.
Venom non toglierà mai i dubbi dalla testa di chi pensa che i Bullet siano costruiti a tavolino e poco credibili. Tuttavia è un buon disco, che arriva sì fuori tempo massimo, ma che per lo meno fa rialzare la testa a un combo in crisi creativa da troppo tempo, risultando inoltre la composizione più pesante mai incisa dai BFMV stessi. Consigliabile senza dubbi la versione deluxe, con un paio di bonus track che sarebbero state bene nella tracklist principale.