Il lunghissimo settimo album dei Bush, ben quindici pezzi, esce oggi e suona come una prolissa presa in giro. “Black & White Rainbows” non ha b-side nonostante il lunghissimo elenco di canzoni, per il semplice fatto che b-side lo sono tutte. Il sentimento predominante all’ascolto è quello di stordito imbarazzo, come quando assisti a brutte scenate di un amico a cui vuoi bene e sei dispiaciuto per il ridicolo di cui si copre.
Diciamolo, i Bush anche nei momenti migliori della loro carriera non hanno mai rivoluzionato il rock, derivativi al massimo per entrare già dagli esordi nel calderone tematico del grunge di oltremanica. Ma loro, inglesi, erano riusciti a mettere i piedi dentro il club di quelli che contano ma mantenendo un atteggiamento anarchico europeo che in alcuni episodi li avevano innalzati dall’amalgama indistinguibile di cloni di Nirvana e soci. Gli esordi di “Sixteen Stone” e “Rezorblade” avevano regalato dei buonissimi pezzi rimasti nei cuori dei fan come “Swallowed” “Comedown” e “Glicerine”, entrando poi nella decade dei duemila con due ottimi album sperimentali, “The Science Of Things” e “Golden State”, dove la loro attitudine acidamente negativa veniva impreziosita con arrangiamenti strumentali mai banali e atmosfere profonde condite di elettronica. Il lungo periodo di pausa successiva è costellata di svolte egocentriche del frontman Gavin Rossdale, tra ruoli hollywoodiani e comparsate sui tabloid per la sua relazione e matrimonio, recentemente naufragato, con la collega Gwen Stefani.
Il ritorno dei Bush sulle scene rock risale al 2011, dieci anni dopo Golden State, con “The Sea Of Memories”, un sorprendente mix di vecchio e melodie nuove, egregiamente seguito da “Man On The Run” del 2014. L’ingresso in formazione del chitarrista Chris Traynor nel 2001 ha indubbiamente dato linfa vitale alla creatività del gruppo che è salito di un gradino bello grosso sulla scala della produzione così detta post-grunge.
Con “Black & White Rainbows”, il tracollo. Di tutto, di creatività ma non solo; di identità e di carattere. I Bush svaniscono totalmente e diventano un carro di carnevale guidato da uno spaesato Gavin Rossdale, che in quello che sembra un orrendo caso di crisi di mezza età infarcisce il nuovo lavoro di ballate di una banalità imbarazzante, che non mordono mai e non scavano in niente. Melodie banali che rimbalzano sulle nostre orecchie per tornare da dove vengono, ci cullano in un letto di noia velata di vago imbarazzo.
“Nurse” è l’unico pezzo che lascia intravedere i Bush che conosciamo. Per il resto è veramente dura trovare qualcosa di degno. Si parte con il singolo “Mad Love”, e iniziare un disco con una ballata del genere purtroppo la dice lunga. Il gioco di parole “Peace-S” ci fa subito sospettare di essere vittime di una incomprensibile presa in giro a chi ha sempre sostenuto un artista da decenni, ormai. Sospetto che diventa gelida certezza all’incontro del pezzo “Toma Mi Corazon”. La sfilza di ballate è infinita, da “Lost In You” a “The Beat Of Your Heart” sono tutte ingiudicabili. “Dystopia” e “Raven” si innalzano di poco sopra la disperazione di un brutto tiro giocato da qualcuno di cui ci fidavamo.
La partecipazione di Gavin Rossdale a “The Voice” come giudice, la rottura del matrimonio con Gwen Stefani sono due episodi di vita dell’artista perno dei Bush, ma che se pur nella loro drammaticità non possono giustificare una mancanza di rispetto tale nei confronti del loro pubblico. A chiunque sia rivolto questo prodotto, non funziona.