Che Calvin Harris sia il nuovo sovrano dell’elettro-pop internazionale è ormai un dato di fatto. Oltre ad essere il dj più pagato al mondo (con 66 milioni di dollari incassati nell’ultimo anno) è anche colui che si è messo in tasca l’EDM con numerose hit planetarie che ascoltate in sequenza fanno pensare: “ma le ha siglate davvero tutte lui?”. Perché anche se non si segue la musica elettronica commerciale è impossibile non conoscere i suoi pezzi da novanta. Li conoscono bene persino i cultori dell’elettronica pura, che hanno in camera bambole voodoo di Harris e David Guetta trafitte senza pietà, e magari un paio di volte ci hanno anche perso i freni inibitori in un club o in un festival.
Diciamo che non c’è più molto da dimostrare e la formula è ormai collaudata. Al quarto disco i featuring continuano a creare qualche buona alchimia, con le quote rosa a suscitare sempre grande interesse, grazie all’apporto di Gwen Stefani, Haim e l’ormai onnipresente Ellie Goulding, moglie e compagna di classifiche. Eppure rispetto ai primi tre lavori, soprattutto quel “18 Months” che ha dettato legge fino al suo esaurimento, “Motion” sembra un po’ insipido. Non fraintendiamo, brani come “It Was You” faranno ancora centro, così come “Summer” e “Blame” hanno già fatto nell’estate appena trascorsa, ma viene da pensare che delle grandi responsabilità che derivano dai “grandi poteri” all’astuto Calvin interessi poco. Sì, c’è “Slow Acid” che è il principale polo di attrazione del lotto e merita un applauso (forse l’unico sincero) in un calderone mediamente poco interessante, ma la probabilità che l’artista scozzese convinca i suoi detrattori è sempre più bassa. Nel frattempo continuerà a guadagnare un fracasso di soldi, a far ballare mezzo mondo e ad invadere radio come fosse uno scherzo, che vi piaccia o no.
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