The Heavy Countdown #4: Carnifex, Whitechapel, Despised Icon, Chelsea Grin

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Carnifex – Slow Death
C’è chi tra clean vocals e sound deathcore tradizionale, preferisce i lidi più oscuri del black metal. I californiani Carnifex tirano fuori dal cilindro un lavoro di grandissimo impatto, anche se ancora legato in qualche modo alle sonorità tipiche del genere (vedi la title track), ma sicuramente con gli occhi (e le orecchie) fissi alle tastiere e alle orchestrazioni che molto timidamente (per ora) fanno capolino da una manciata di brani, uno su tutti “Drown Me In Blood”. Siamo sulla via del symphonic blackened deathcore? Ancora presto per dirlo, intanto godiamoci questo “Slow Death”.

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Whitechapel – Mark of the Blade
Questa mania dei clean vocals nel deathcore sta un po’ sfuggendo di mano, ma c’è chi ci riesce bene, tipo i Whitechapel, che li infilano a tradimento in due pezzi del nuovo full length. Grandissimo segno di maturità e fiuto per la deriva che il genere sta prendendo quindi. Nell’economia del disco, i brani incriminati ci stanno da dio: “Bring Me Home” e “Decennium” fanno quasi il verso agli A Perfect Circle, ma va alla grande anche la simil-slipknotiana “A Killing Industry”.

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Despised Icon – Beast
Gli appassionati del deathcore duro e puro faranno i salti di gioia con il nuovo dei Despised Icon. Certo, con “Beast” si va sul sicuro, ma la nuova fatica del combo canadese non presenta nessuna, ma nessuna sorpresa. Dopo sette anni di silenzio i Nostri prendono la strada più facile, ovvero non rischiando nulla e continuando a fare quello che riescono meglio: casino. Ma nel 2016 tutto questo risulta troppo prevedibile, se non ai die hard fan.

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Chelsea Grin – Self Inflicted
E poi c’è chi nel deathcore fa marcia indietro. Al quarto lavoro di studio, i Chelsea Grin cercano di tornare al sound più granitico e senza fronzoli del passato, eliminando quasi del tutto i synth e la maggiore accessibilità delle ultime produzioni. Lo si intuisce già dalla opener “Welcome Back”, un nome un programma. L’unico pezzo che si discosta da questa logica è “Never, Forever” con il suo simil rap e le tastiere, ma si chiude con “Say Goodbye” così come si è iniziato. Risultato? Noia, per lo più.

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