A inizio anno è caduta la bomba. “Cosmotronic“, un’immersione in profondità doppia che ci fa respirare a pieni polmoni e trovare nell’abisso una bolla d’acqua per ballare e non pensare a ciò che sta in superficie. In quella stanza senza pareti la nostra valvola d’ossigeno resta abbandonarsi all’elettronica di Cosmotronic dove tutto è fluido e molecola. Inseriamo il disco e cominciamo a ballare. “Bentornato” Cosmo, non era l’ultima festa.
Sott’acqua i pensieri sono ovattati, un po’ come quando passiamo al bancone per la quinta volta a chiedere il drink. Sott’acqua non vediamo, abbiamo gli occhi chiusi. È un ballo che non celebra, ma invita a prenderci meno sul serio, in un percorso sonoro che passa dalla techno, al dreambeat per finire sull’ abstract house.
Ma Cosmo, come le bollicine a un certo punto va verso la superficie a respirare la realtà nelle contraddizioni dell’uomo tra leggerezza e pesantezza: un’insostenibile leggerezza che ci rende molteplici e in continua evoluzione. Se continuiamo a stare immersi ad un certo punto l’ossigeno finisce e allora rimaniamo con le gambe nell’acqua perché ci procura sollievo, ma tiriamo fuori la testa, stiamo a metà. Ci soffermiamo a pensare, le grinze sulle dita ci testimoniano che non possiamo fare finta di niente tutta la vita. Il sale del mare ci rattrappisce, non quello della vita. Siamo alla costante ricerca di qualcosa che dia sapore alla nostra esistenza. Emerge la seconda anima di Cosmo: la forma canzone, dalle parole esigue, sincere e semplici, ma colme.
Parole come siamo noi, elettroni di carica negativa in movimento che ballano in cerca di un sentimento positivo che ci spinga su. Il doppio viaggio senza ritorno si apre con la dichiarazione d’intenti di Bentornato “vorrei raccontare la verità e non fare danni”, un flusso di coscienza autobiografico che prosegue nel retrogusto kitsch e l’accelerazione di Turbo e nella dedica alla città natale di “ Sei la mia città”.
Sono pezzi solo apparentemente da festa, la malinconia ed un senso di inadeguatezza resa da un’aspra sincerità percorre tutti i brani. È una festa tutt’altro che spensierata, i pensieri sono tutti dentro di noi, un pò annebbiati per una notte sola, per un unico concerto. Tanto non possiamo cambiarli, non ci rimane che salire sulla giostra e provare a prenderci meno sul serio o a stare meglio per una notte. D’altronde continueremo a dire “ Tutto bene” nonostante le chiamate interrotte e le lotte con i giganti che abbiamo in casa, tanto attenti a ciò che dobbiamo fare per essere accettati dagli altri.
“Tristan Zarra” è un carnevale ironico su alcuni stereotipi italiani con una miscellanea di intermezzi e campionature tra cui le urla e risate di Calcutta e di Francesca Michielin; un vero catalizzatore di festa. Con “Sei la mia città” e “Quando ho incontrato te” Cosmo strizza l’occhio al circuito delle radio, dando nuova linfa e importanza alle parole, completamente senza filtri.
Il secondo disco è dedicato alla seconda parte della serata, qui troviamo meno canzoni vere e proprie, le parole si fondono al suono psichedelico. L’abbandono è completo. Cosmotronic è un viaggio ben riuscito, complesso e frutto di un approfondito lavoro tra vero e proprio club e cantautorato. Cosmotronic ti tiene con la testa fuori dall’acqua e il corpo in immersione, unendo il bit che fa muovere il corpo alle parole che fanno pensare. Cosmo tiene insieme le due cose e ti fa fare tutto in un unico concerto. Allora che aspetti? Vieni, fatti un giro anche tu, è divertente. In fondo non costa niente.
Testo a cura di Elena Alei.