Daniele Silvestri con “Acrobati” ha raggiunto la maturità artistica, almeno stando a quanto aveva rivelato con le prime dichiarazioni sul suo nuovo lavoro in studio. A me ci è voluto un mese di tempo e di ascolti ripetuti, di tentativi di infiltrarmi tra le pieghe, per capire che “Acrobati” è un disco tanto ricco quanto difettoso.
Vale la pena fare una premessa: il funambolo Silvestri gode della mia stima imperitura da vent’anni abbondanti, non sono una novellina della sua discografia o una snob del cantautorato italiano. Lo dico per chiarezza: ho amato fortissimo anche un disco difficile e spezzettato di spunti come “Il dado”. al quale “Acrobati” sembra quasi ricongiungersi per l’ispirazione eterogenea. Però questo nuovo lavoro di Daniele Silvestri mi ha lasciata perplessa sotto moltissimi aspetti.
La scrittura è sempre la sua, elegante e superiore alla media: spiccano “Quali alibi”, scelta come efficace primo singolo e giocata su un testo bellissimo, la collaborazione felice con Caparezza in “La guerra del sale” e quella con i divertenti Funky Pushertz nella scanzonata “Bio-boogie”. Si sentono anche gli altri collaboratori sparsi, che sono numerosissimi (Diodato, Dellera, Enrico Gabrielli, Diego Mancino, Rodrigo D’Erasmo, Adriano Viterbini e quanti altri ad impreziosire) ma nel complesso ad “Acrobati” manca un fuoco da cui tutto parte e a cui tutto torna, come in una realizzazione catartica. Spara lapilli in giro, scheggia, ma non colpisce davvero.
Mi dispiace dirlo, ma sembra che l’urgenza di mantenere l’equilibrio ondeggiando qua e là non abbia regalato a Daniele Silvestri la stabilità necessaria a tirare fuori un disco sì frastagliato di idee, ma solido nella presentazione. A volte sono i suoni a non convincere (quella chitarra nel brano di apertura “La mia casa” è veramente fastidiosa), a volte è proprio il tirare per le lunghe che non mantiene quello che prometteva. Diciotto canzoni sono tantissime e saper tenere l’attenzione così a lungo richiede una maestria che Silvestri ha, ma che troppo spesso dimentica.
“Acrobati” di Daniele Silvestri è un disco pieno di spunti troppo disomogenei tra loro per appassionare veramente. Sopra la media per scrittura e cuore messo dentro, come è classico per Silvestri, “Acrobati” manca di qualcosa che brilli per qualità. E su diciotto tracce, in sostanza, ne salviamo poche in attesa delle prove dal vivo che magari renderanno di più. Però che peccato.