Il secondo lavoro in studio di Danilo Di Florio, l’album “Evitiamo i sabati” non ci ha convinti. Ci spiace essere così netti, vorremmo sempre avere una buona parola per tutti come Vincenzo Mollica, ma ogni tanto ci tocca essere un po’ brutali per sostenere le nostre idee.
In questo secondo disco, il cantautore romano cresciuto in Abruzzo continua sulla via del cantastorie rock del suo tempo, ma quello che non riesce a far superare la barriera del mezzo apprezzamento di sufficienza, sulla fiducia, è un atteggiamento che sembra sottolineare continuamente la sua capacità di cogliere gli avvenimenti, diventando ridondante e presuntuoso.
Il problema sta tutto qui. C’è tanta roba e non sempre Danilo di Florio, supportato dalla band che lo segue anche dal vivo, sembra in grado di gestirla tutta. A volte ci sono piccoli dettagli tecnici che non tornano: qualche sbavatura di intonazione e ritmo che non è sostenuta da una vera capacità di “sbagliare fino a farne arte”, quindi appare come un errore e basta; ingenuità nei testi, che spesso sembrano autocompiacersi di ciò che raccontano ma non sono sostenuti da un’ironia tale da diventare piacevoli, anzi, appesantiscono ulteriormente l’ascolto. Ciò che però infastidisce davvero è la produzione di “Evitiamo i sabati”, sommaria e poco attenta nella valorizzazione: non aiuta affatto, i suoni sembrano missati in un garage non insonorizzato e c’è una disattenzione generale al mood del disco, che risulta così slegato.
Se questo è il contorno, ci va messo dentro che anche il talento migliore ha bisogno di consigli validi per crescere e tirare fuori il meglio di sé. A Danilo Di Florio, che il talento ce l’ha, manca il contraltare che riesca a incanalare la sua voglia di raccontare. Un esempio su tutti è la title track, traccia numero due del disco, che poteva essere un modo apprezzabile di descrivere la società odierna, se non fosse che Danilo Di Florio non riesca a uscire dal proprio ombelico di sensazioni, moncando le storie e i punti di vista. Le capacità ci sarebbero anche, lo sforzo è tanto, ma manca il legante che le tenga insieme e sappia far emergere come voce distinta il cantautore abruzzese.