Arrivato finalmente il primo omonimo album del super gruppo Dead Cross, un progetto nato l’anno scorso sotto l’egida del famigerato batterista ex Slayer Dave Lombardo. Con lui Justin Pearson dai The Locust e Mike Crain dai Retox.
È però quando si diffuse la notizia qualche mese fa dell’entrata nel progetto di un certo Mike Patton che la cosa è effettivamente esplosa nella curiosità di tutti i critici del mondo e di tutti gli ascoltatori.
Perché questa parola spesso abusata, super gruppo, ha spesso il compito di unire le forze artistiche e compositive di musicisti diversi o affini, ma dal punto di vista commerciale ha anche quello di attirare l’attenzione dei fan di più gruppi in un unico prodotto. Se siete un po’ vecchiotti come me ricorderete di certo quel vecchio robot Voltron, formato da cinque robot più piccoli a forma di leone che univano le loro forze componendo un unico gigantesco robottone spaccaculi.
Così dobbiamo immaginare i Dead Cross, un robottone spaccaculi. Il fatto è che l’entrata di Mike Patton ( che sostituisce il vocalist precedente, un po’ improvvisato, il batterista degli Zu Gabe Serbian) ti dà garanzia di successo ma totale imprevedibilità di contenuti.
È chiaro dire subito una cosa. Patton è ispirato e poliedrico come non capitava da tanto. Il buonissimo ultimo album dei redivivi Faith No More “Invictus” mostrava al mondo il solito pazzo vocalist con mezzi tecnici infiniti ma in quel caso un po’ di maniera, costretto forse a rivivere un’esperienza che ha già dato tutti il divertimento che poteva dare e un po’ costretta da grosse pressioni commerciali. Qui pare divertirsi come in tanti altri suoi progetti paralleli, che poi paralleli a cosa non si sa.
La produzione musicale di Patton è come vedere uno di quei multi-universi che molto vanno di moda in campo cinematografico, diramazioni diversissime tra loro come attitudine e stile che a loro volta si diramano in altre capillari espressioni musicali imprevedibili.
Cosa aspettarsi quindi da questo album Dead Cross? Violenza, tantissima violenza, velocità e melodia dosata con il contagocce.
Già compagni di ventura nell’esperienza Fantomas, Lombardo e Patton risfoderano una furia sopita in un album che dura trenta minuti e non lascia prigionieri scaricando una quantità di artiglieria pesante impressionante. Velocità metronomica fulminante che ricorda la frenesia dei Dillinger Escape Plan, che tanto ha ispirato lo stesso Patton.
“Seizure And Desist” precipita nelle nostre orecchie come un carico di mattoni, con un lieve refuso melodico che viene estirpato come erba canina da una cacofonia di batteria e chitarre compressissime. Questi sono i Dead Cross ed è subito messo in chiaro. “Idiophatic” è hardcore puro e il suono non ha la produzione pastosa e gonfiata che hanno le produzioni metal di oggi. Gli strumenti sono quelli, si sentono belli e puliti e vanno a mille riconoscibilissimi, con il loro spazio ben delineato e tutti a concorrere allo stesso obiettivo.
Una tempesta di vetri dopo un’esplosione sonora è questo disco, che viaggia senza sosta con “Obediance School”, metal thrash guidato dal capotreno Mike Patton che urla a livelli vocali disumani con una precisione millimetrica e un’interpretazione unica per pazzia ed eclettismo. Nessun punto di riferimento e nessuna noia. Quando rallenta è un piacere per le orecchie e divertimento puro, quando accelera è solidissima potenza.
Ross Robinson è il produttore e a lui dobbiamo la riuscita del non semplice compito di far suonare pulito e preciso questo manicomio di suoni, che diventa oscuro e horrorifico con “Bela Lugosi’s Dead” che rallenta in una divertita pantomima recitata da Patton che all’occasione diventa un narratore da cripta mentre le chitarre di Crain diventano per una volta di atmosfera e contestuali. Dura poco. “Divine Faith” esplode di nuovo con la cacofonia totale di un metal estremo dove Patton vaneggia deliziosamente con una melodia mai banale ma accattivante come solo lui sa fare. Il ripetuto “Pistolero” del pezzo “Grave Slave” è già nella mitologia del genere.
Tra rallentamenti e ripartenze, urla e melodie malate, arriviamo alla finale “Church Of The Mutherfuckers”, un titolo che è tutto un programma. Partenza con una melodia cupa, un urlo disumano di Patton distrugge la linearità del cantato, la cacofonia strumentale irrompe e mantiene il pezzo ai livelli più malati del lotto, da una partenza di malattia comunque non indifferente.
Dead Cross è un progetto estremo sfociato in un album estremo, che però è reso accessibile e godibile dal livello (estremo anche quello) dei musicisti in opera, primo fra tutti, inutile dirlo, Mike Patton. La sua interpretazione è da urlo, senza punti di riferimento ma al tempo stesso tutta da seguire in un labirinto di potenza e malattia irresistibile. I vicini non saranno contenti di questo album, voi si.