Destrage – A Means To No End

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Il nuovo album dei Destrage conferma l’inarrestabile crescita degli italiani. A Means To No End proietterà i Nostri ancora più in alto nella catena alimentare del metal moderno e prog-core-izzato. La qualità delle composizioni contenute nel disco riesce nell’impresa di coniugare l’imprevedibilità e la follia che avevano contraddistinto lavori, già di per sè eccellenti, come The King Is Fat’N’Old e Are You Kidding Me? No., con un’accessibilità propria ad act molto più lineari (e affatto contorti) d’oltreoceano.

Prendete ad esempio Don’t Stare At The Edge: una sassata inumana con un ritornello esageratamente immediato, strutturata dai soliti schizzi esecutivi firmati da Di Gioia/Paulovich e da una prestazione vocale di Paolo Colavolpe mai così brutale e diretto anche sul pulito. Le tracce successive a dire il vero smussano parzialmente il carroarmato che ci ha sfasciato le ossa nei primi minuti. Le aperture melodiche del pezzo di lancio Symphony Of The Ego (che avevano fatto inorridire i puristi, storicamente ottimo segnale visto che molti inorridirono anche quando uscì il Black Album o quando Harris mise le tastiere in Somewhere in Time, tanto per capirci) avevano già lanciato dei chiari segnali sulla direzione che i Destrage stavano cercando di intraprendere. La band getta ancora fumo negli occhi in Silent Consent ma in The Flight le derive più atmosferiche e riflessive (a dispetto di un ritornello che dal vivo ucciderà) iniziano a spingere parecchio. Dreamers è l’ultimo freno prima del nuovo corso che con Peacefully Lost/Not Everything Is Said aiuterà i ragazzi a diventare ancora più grandi, apprezzati e (si spera) popolari nel mondo, grazie a una capacità esagerata nell’inserire un ritornello pop-punk interno a un brano veloce e senza compromessi.

Riuscire a far pensare ai Twelve Foot Ninja e poi diventare epici e a tratti Pink Floyd-iani nel giro di un paio di tracce (le due conclusive, escludendo A Promise, A Debt), restando credibili, è dote che appartiene ai pochi. I Destrage hanno le idee molto chiare. E se sulle prime il nuovo disco non vi convincerà molto, dategli tempo. Scoprirete un lavoro maturo e potenzialmente infinito, capace di regalare soddisfazioni e profondità a ogni nuovo play. Il problema però è uno solo: come faranno a superarsi di nuovo?

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