The Heavy Countdown #7: Discharge, Combichrist, Darkness Divided, Nails

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1
Discharge – End of Days
C’è un motivo se i Discharge sono una delle band più coverizzate dell’hardcore punk old school: sono delle vere leggende. E nonostante il 1977 sia lontanissimo, sia in termini cronologici che ideologici, “End of Days” non delude le aspettative. Come da tradizione, il settimo full length dei britannici è una bomba ad orologeria, anzi una “Hatebomb”, tanto per citare uno dei pezzi più tirati di “End of Days”.

2
Combichrist – This Is Where Death Begins
I Combichrist sembrano mettere una pietra sul passato con questa nuova fatica in studio. Sembrano. Perché il sound estremamente heavy della opener “We Are The Plague”è posizionato in modo tale da ingannare l’ascoltatore e portarlo a credere in una svolta più pesante e chitarristica. Ma già dal retrogusto techno di “My Life My Rules” ci si rende conto che la band è sempre la stessa di una volta, e continua ad omaggiare Nine Inch Nails e Rammstein (rispettivamente in “Glitchteeth” e “Slakt”, giusto per citarne un paio). Ed è tutto un crescendo elettronico, fino ad arrivare alle disturbanti “Black Tar Dove” part 1 e 2.

3
Darkness Divided – Darkness Divided
La band texana ritorna a distanza di due anni dall’esordio con il suo metalcore corposo, che sonda anche classic metal e modern rock. Ed è proprio questa la fortuna (e la bravura) dei Darkness Divided: hanno qualcosa da dire in un genere sempre più saturato, e si procurano gli strumenti del mestiere nel modo che potrebbe sembrare più ovvio, ossia guardando al passato. I DD riescono ad essere in qualche modo belli pesi, ma contemporaneamente melodici e catchy (“Back Breaker”). Se poi ci aggiungiamo qua e là qualche venatura alla Avenged Sevenfold, andiamo davvero alla grande.

4
Nails – You Will Never Be One of Us
Che cosa può mettere d’accordo metallari, punk e hardcorer? Mi vengono in mente tante cose, ma quella più ovvia è l’odio generalizzato. E quindi anche il disco dei Nails. I californiani raccolgono con estrema ferocia l’insegnamento dei maestri Converge mixando il loro grindcore con il death metal e portandolo al livello successivo. “You Will Never Be One of Us” è un inno alla violenza da circle pit e alla misantropia (qualche titolo? La title track stessa e “Violence is Forever”). Ci piace.

5
Westfield Massacre – Westfield Massacre
Tommy Vext dei Divine Heresy torna con un nuovo (mica tanto, dato che affonda le sue radici nel 2014) progetto dall’iconico nome di Westfield Massacre. L’omonimo debutto discografico della band è guidato da un singolo con i controcazzi, “Darkness Divides”, che rispecchia al meglio il mood del disco: energia e potenza da vendere, ma anche refrain terribilmente appiccicosi. E poi in “Underneath the Skin” appare pure Randy Blythe. Che ve lo dico a fare.

6
Monolithe – Zeta Reticuli
Tre brani lunghissimi, in perfetto stile doom, per questa formazione francese che da anni intensifica la propria musica senza concedere nulla a modernismi. La produzione, curatissima tanto che il riferimento a certi My Dying Bride non apparirà certo fuori luogo, esalta un disco (seconda parte di un concept strutturato) che farà la gioia delle sonorità funeral e, perchè no, anche classicamente heavy.

7
White Lung – Paradise
I White Lung si sono fatti conoscere fin dal loro esordio discografico nel 2010 per la loro energia punk e i vocals taglienti di Mish Way-Barber. In “Paradise” tutto questo c’è ancora, ma ci sono anche elementi inediti per la band di Vancouver, come le ballad (“Below”) e soprattutto un sensibile avvicinamento all’indie in “Hungry”. Che sia questo il prossimo passo nella loro evoluzione?

8
Gozu – Revival
Ritmi ipnotici e imprevedibili, assoli e vocals fuori di testa: questo è lo stoner con il turbo dei Gozu. “Revival” è un lavoro svelto e fresco, ma compatto e ragionato. Insomma, un disco che scende liscio come un drink, senza lasciare spiacevoli cerchi alla testa, ma solo la voglia di tornare a gustarlo di nuovo.

9
Diamond Head – Diamond Head
Pare che la spinta per il ritorno discografico dei poco prolifici DH (se consideriamo che in 40 anni di carriera hanno sfornato appena sette album) sia arrivata con l’ingresso in line-up del nuovo vocalist Rasmus Bom Andersen. Ma qualunque sia il motivo alla base della nuova omonima uscita dei Diamond Head, poco importa: gli ottimi riff di Tatler ci sono sempre fin dall’attacco di “Bones” e “Diamond Head” è un lavoro assolutamente genuino. Che però mi sento di consigliare solo ai fan più sfegatati.

10
Switchfoot – Where The Light Shines Through
Se siete stati (anzi, state) teenager nei primi anni 2000 non potete non conoscere “I Passi dell’Amore”, la sua colonna sonora e soprattutto gli Switchfoot. Ma cosa è cambiato da allora nel sound dei Nostri? Nulla. Dopo 14 anni e 10 dischi, gli Switchfoot continuano a proporre il loro Christian rock non modificandolo di una virgola rispetto al 2002. Forse il ritmo di “Bull in a China Shop” e gli inserti rap di “Looking for America” si discostano lievemente dal religioso ottimismo di Jon Foreman e soci. Ma se vi è sempre sembrato melenso, statene alla larga in ogni caso.

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