Dream Theater – The Astonishing

dream-theater-the-astonishing-recensione

“The Astonishing” è il tredicesimo album in studio dei Dream Theater, uscito il 29 gennaio. Definito da molti un’opera rock, è un modo per ricongiungersi con il mai dimenticato Scenes From a Memory del ’99, ultimo disco che mise d’accordo all’unanimità critica e fans.

Di questo nuovo lavoro non impressiona di certo la storia narrata, bensì la maestosità della composizione. Più di due ore di musica, in 34 brani dove i Nostri danno prova di essere ancora capaci di riproporre quelle atmosfere e quelle opere prime che li hanno resi grandi anche agli occhi dei meno devoti.

Togliamoci subito il dente sull’annosa questione “batteria”. Mike Mangini è un mostro di bravura e tecnica, arriva a fare cose che il suo predecessore non potrà mai arrivare a fare e in questo album (ascoltare “Moment Of Betrayal” e “A New Beginning”) non perde occasione per dimostrarcelo. In tutto questo però, dal punto di vista dell’impatto generale del sound della band, è dura non rimpiangere quel colore, e sopratutto quel calore, che portava Portnoy. Già Myung rappresentava al meglio la glaciale perfezione dell’interpretazione prog-metal di uno strumento musicale, aggiungervi un altro musicista con la stessa indole non aiuta alla lunga il progetto.

Detto questo, il peso di dare sostanza musicale all’album ricade con ancora maggior importanza sulle spalle degli altri componenti storici. James LaBrie riesce a convincere nonostante la difficoltà nel rendere credibili sette personaggi diversi durante la narrazione. Jordan Rudess, con buona pace dei nostalgici di Kevin Moore, è assoluto protagonista di molti brani, mentre John Petrucci si dimostra ispirato sia a livello acustico, sia a livello di riff e assoli. Quasi una rinascita melodica del chitarrista della band, apprezzabile sopratutto in brani come “A Better Life” e “Our New World”.

“The Astonishing” è quindi il classico album che poteva essere inserito nella discografia dei primi Duemila dei Dream Theater, ipoteticamente dopo “Octavarium”, e questo è il miglior complimento che gli si possa fare. Tuttavia è innegabile che per quanto ammirevole, l’intero concept risulta difficilmente comprensibile senza un’immersione totale all’interno dello stesso. Si ha infatti la netta sensazione di essere di fronte a un lavoro pregevole, ma che, a differenza del già citato Metropolis pt.II, richiede un’attenzione eccessiva per entrare nel climax e, soprattutto, non ha certo cadute di ritmo e di interesse interne a una narrazione eccessivamente dettagliata. Che la strada migliore per gustarsi in pieno il nuovo disco dei DT sia quella di ascoltarlo come fosse un musical in una serata teatrale piuttosto che in un concerto da cori e sudore, è molto più che una sensazione.

In conclusione tuttavia, tanto di cappello a una band che, non avendo più nulla da dimostrare per quanto inciso in passato da anni, è ancora alla costante ricerca di stimoli, per la gioia di un (enorme) zoccolo duro di fan, che non mancherà di descriversi The Astonishing come uno dei migliori dischi di questo 2016 appena iniziato.

 

Lascia un commento